In Italia è possibile litigare anche sui libri?

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di Claudio Razeto

“Sarebbe bene comprare libri, se insieme si comprasse il tempo per leggerli, ma di solito si scambia l’acquisto di libri per l’acquisizione del loro contenuto”.

Arthur Schopenhauer, da L’arte di insultare

Il pianto e la risata.

La commedia e la tragedia.

Va avanti così questo nostro strano Paese, sempre estremo, sempre “too much”, come dicono le pubblicità in tv.

L’Italia geniale e cialtrona, eroica e criminale, cinica e solidale, rassegnata e indignata, povera ma ricca, fascista e comunista, proletaria e radical, intellettuale e ignorante, così grande e così piccola.

Più che il popolo di “santi, poeti, navigatori” esaltato nelle targhe del ventennio, un guazzabuglio di contrasti spesso privi di coerenza ma capace di ritrovare, sempre o quasi, un filo conduttore, un salvagente a cui aggrapparsi per sopravvivere e andare avanti.

Nelle crisi, nelle guerre, nelle rivoluzioni, più mancate che fatte davvero, gli italiani, vanno avanti sempre e comunque e si adattano all’habitat che ogni epoca impone loro.

I comunisti degli anni 60 e 70, che poi hanno messo il cachemire diventando una elité  e che credo non sarebbero piaciuti a Togliatti e ai suoi.

I fascisti del post Almirante, istituzionalizzati e divenuti movimento, che forse i marciatori del Ventennio avrebbero disprezzato.

All’origine c’era il popolo e la borghesia, la classe proletaria e i possidenti.

Sotto ad una monarchia di cartapesta, come quella dei Savoia, imposta e avallata, non dimentichiamolo, da rivoluzionari Massoni, come i carbonari repubblicani “ab origine”, Mazzini e Garibaldi, divisi anche loro ideologicamente su come avrebbe dovuto essere l’Italia unita.

Avvolta dal clericalismo Vaticano e da un cattolicesimo che è entrato perfino in politica, la vecchia DC, quasi unico caso nella storia politica europea.

Che non a caso divise gli italiani, tanto per cambiare, tra anticlericali e non.

Dividendoci e scontrandoci noi italiani siamo passati dagli anni di ferro e di fuoco (quelli delle grandi guerre), a quelli di piombo del terrorismo, fino ai nostri così indefiniti e incerti.

Ci portiamo appresso, attaccata come una sanguisuga,  la voglia di dividerci e fare il tifo per due fronti contrapposti.

Spaccarci in due per scontrarci, dalle idee alle spranghe di sessantottina memoria.

I Capuleti o i Montecchi, i guelfi o i ghibellini, i monarchici o i repubblicani, i fascisti o i comunisti, i repubblichini e i badogliani, i berlusconiani o gli anti-berlusconiani, e via dicendo.

Persino su Coppi e Bartali e le loro imprese ciclistiche siamo stati divisi e contrapposti, quasi a dimostrare che se non c’è un motivo di divisione o scontro, noi italiani lo creiamo appositamente, pur di soddisfare la nostra voglia  di divisione e contrapposizione.

Il tutto con un’evoluzione esplosiva e violenta che non ha mancato di fare vittime fisiche e morali.

L’Italia miserabile dell’ultimo dopoguerra è diventata una potenza mondiale economica.

Tra crisi e singulti, emigrazioni e contrasti, si è trasformata evolvendo e poi regredendo ancora.

Come la curva di un diagramma di economia. Unita ma sempre divisa su qualcuno o qualcosa.

In questi anni duemila, che non sono di piombo ma di gomma, per la capacità di assorbire tutto senza mai fracassarsi, tutto è cambiato anche radicalmente.

Tanto per fare qualche esempio:

  • la nascita di nuovi partiti e movimenti
  • la crisi dei giornali e la diffusione del web
  • la rarefazione e scomparsa del mitico “posto fisso” di lavoro e la comparsa di nuovi mestieri
  • il sogno di una classe media che ha visto figli di operai diventare ingegneri e dirigenti e poi oggi rischiare di tornare a fare passi indietro, nell’insicurezza generata dalle economie globali.

Tanta roba. Ma in tutto questo magmatico crescere non è venuta mai meno quella pruriginosa voglia di dividersi, discutere, scontrarsi in un clima da derby e di ultra da stadio.

Una predisposizione che il giornalismo e i media italiani seguono e alimentano puntualmente, quasi l’analisi pacata di un punto di vista non fosse nemmeno contemplata.

Sulla stampa, manifesto fisico dei punti di vista opposti e contrari, dove le opinioni hanno spesso prevalso sulle notizie, e soprattutto in tv, divenuto con i talk, uno dei ring preferiti dai divisionisti, fino al web e ai social dove ci si manda a quel paese più o meno allegramente sui temi di attualità varia, dai più importanti ai più futili.

Da noi persino gli alleati di Governo sono divisi, costantemente, inevitabilmente.

Divide et impera, dicevano i Romani antichi enunciando una strategia da applicare contro i popoli da sottomettere.

Noi italiani semplicemente ci dividiamo arrivando persino a far sì che alla fine non imperi, o comandi nessuno.

La divisione militante vista non come una strategia ma come uno stile di vita.

No tav e si tav, no vax e pro vax, sono solo le ultime forme di questo eterno ping pong ideologico.

Al Salone del libro di Torino 2019, intorno allo stand di un editore fino ad oggi pressoché sconosciuto è andata in scena l’ennesima pantomima divisoria.

Accusato di fascismo, questo editore, che ha pubblicato un libro intervista su Salvini, è stato allontanato mettendo, idealmente al bando i suoi libri ma anche le sue idee sul Ventennio.

Molti scrittori, prima della solenne decisione, avevano annunciato che in presenza di questo signore non avrebbero partecipato alla kermesse letteraria torinese.

Il tira e molla contro il “boia chi molla”, ha riempito le pagine dei giornali e i talk tv, fino all’esito finale, l’espulsione dello stand.

Il dibattito ha avuto due risultati:

  • una grande pubblicità al Salone del libro (benvenuta vista la scarsa propensione degli italiani alla lettura)
  • una grande promozione all’editore fascista e al libro su Salvini (questa probabilmente non calcolata)

Se venderà anche solo una copia in più, questo editore lo dovrà al solito dualismo italico, e non certo alla bontà di quello che pubblica.

Il libro su ebook ancora non c’è ma pare che in libreria stia andando alla grande.

“Si battono per l’idea, non avendone”, diceva Ennio Flaiano degli italiani.

Anche in questo caso, senza nemmeno leggere il libro, l’idea contrapposta ha creato divisione esasperando lo scontro.

In mezzo agli stand di Torino tanti libri anche sulla politica, il comunismo, il nazismo, il fascismo compresi i testi più estremi come il Mein Kampf di Hitler.

Nessuno si è mai lamentato.

Per chi non ci fosse mai stato c’è, con quello della Rai, delle Forze Armate, del Vaticano, oltre che a tanti altri editori grandi e piccoli, persino uno stand della Massoneria, sì proprio quella con il cappuccio il compasso e il grembiulino, che presenta pubblicamente i suoi libri e le iniziative.

Nessuno sembra se ne sia mai accorto. O almeno nessuno si è risento facendone un caso nazionale.

L’Italia è un paese libero per fortuna, anche nelle sue contraddizioni.

Si spera che almeno tanta pubblicità sia servita a far leggere un po’ di più.

Perché anche solo un lettore in più, consapevole o no, serve a sostenere l’industria sofferente della cultura in Italia e magari, si spera, a migliorare la civiltà di un popolo, il nostro.

Claudio Razeto

Tempo di lettura: 2’00”

Foto tratta da: https://www.lastampa.it/2017/04/27/cronaca/salone-del-libro-yztTnbW1hbU1AzCva9AREP/pagina.html

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