di Federico Ghezzi
Il calcio: una passione, per tanti.
La Roma giallo rossa: un amore viscerale per (almeno) due milioni di romanisti.
Quest’amore, sollevato a un’ambizione più alta dal ciclo illuminante del Presidente innamorato Dino Viola (1979 -1991), richiamata dai grandi investimenti del Presidente innamorato Franco Sensi (1993-2008), è stato avvolto, negli ultimi anni, da dubbi inerenti alla attuale gestione.
Nel 2011 la Roma diviene ufficialmente proprietà di una cinquina di americani, dopo una lunga e faticosa gestazione guidata da Unicredit, che aveva in mano una patata bollente, scottante passione popolare, dopo la transazione con la famiglia Sensi, quindi Italpetroli, che controllava la Roma imprigionando crediti irrisolti.
James Pallotta, tra i cinque, nel 2012 si è svelato presidente,
dando scatto all’operazione nuovo stadio, selezionando area e costruttore, recependo, si dice, i suggerimenti della stessa Unicredit, pronta anche su quel verso a ulteriori rientri.
Nel frattempo via via Unicredit ha rilasciato quote e proscenio all’azionista USA di maggioranza, dopo un periodo buffo, in cui Pallotta aveva cercato nuovi partner, tra i quali si ricorda uno sceicco operante in Umbria, purtroppo ora scomparso, la cui moglie lavorava come colf per sbarcare il familiare lunario.
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Ma chi è Pallotta e chi sono i suoi soci?
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Chi investe?
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Quali sono gli obiettivi di chi investe e della dirigenza della Roma?
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Quale spazio hanno i sogni dei tifosi?
Pallotta sembrerebbe avere il rango di un imprenditore (lui e gli altri quattro), se leggiamo, ad esempio, che potrebbe rilevare i terreni per lo stadio dall’impresa del costruttore prescelto, disinvolto interlocutore di molti rappresentanti politici
Ma, pur facoltoso, Pallotta non è piuttosto solo il gestore di un fondo di investimenti non direttamente impegnato nella gestione della squadra, come invece avverrebbe per il Milan, di proprietà Elliott ?
Se Pallotta, quindi, fosse un semplice Manager e non l’imprenditore a cui ricondurre compiutamente il senso di investimenti della Roma (stadio escluso o stadio compreso), emerge un grande interrogativo.
Quali sono i capitali e/o i moventi economici e finanziari “dietro” ai cinque soci americani?
Sono altri soggetti o altri interessi a guidare i movimenti della Roma, o il nuovo stadio?
Unicredit stessa?
Magari lo stesso presidente del Liverpool, come ha osato ipotizzare De Laurentiis l’estate scorsa, circostanza non esclusa da chi ha voluto approfondire l’azzardata opzione?
https://www.calcioefinanza.it/2018/08/17/rapporti-pallotta-liverpool-roma-de-lauretiis/
Già, Roma e Liverpool, le avversarie nella semifinale di Champions League
della scorsa stagione, che prima e dopo di questa hanno perfezionato compravendite (Salah e Alisson, ceduti dalla Roma) di opposta ispirazione:
- plusvalenze per la Roma,
- top player per i Reds.
Ecco, che scivoliamo nei dubbi più lancinanti per il cuore dei tifosi innamorati, che vorrebbero sperare, affezionarsi, sognare, come con Viola, come con Sensi.
Tra plusvalenze e acquisti inspiegabili, una gestione sportiva incongruente con l’orgogliosa passione dei tifosi, incompatibile con grandi ambizioni.
Già, non sono arrivati trofei.
Eppure non è nei risultati, pure abbastanza positivi rispetto alla media storica della società, il cruccio che alimenta i dubbi sulla gestione sportiva.
Piuttosto questo:
la Roma americana non ha mai mostrato alcuna resistenza di fronte alla qualunque offerta riguardante i propri giocatori più forti.
Si esclude a priori il poter trattenere per alcune stagioni i migliori giocatori sotto contratto.
Si guarda Zaniolo e si sa già che al massimo sarà trattenuto uno, due anni.
Politica inaccettabile per i romanisti e incompatibile con solide ambizioni di vittoria:
Si smonta ogni notte la tela che il giorno si era intessuta.
Si iniziò subito, con la cessione di Vucinic, ragguardevole talento, per pochi milioni alla Juventus, operazione impensabile con i presidenti innamorati… figurarsi!
Un oltraggio all’orgoglio giallorosso ripetuto con Pjanic, rinnovato da poco con il beniamino Radja Nainggolan ceduto all’Inter.
A qualsiasi lamento dei tifosi si oppone una sola parola chiave: plusvalenze.
Aggiunge il DG Baldissoni che il trading giocatori è necessario
“per mantenere alta la competitività della squadra”,
in attesa di più ampi ricavi (nuovo stadio?).
Domandina:
Come mai il Napoli ha fatturato inferiore, monte ingaggi inferiore, risultati migliori e bilanci sani e campioni (acquistati giovani) mantenuti per anni in rosa senza ricorrere alle plusvalenze?
E’ notorio:
Le plusvalenze, per una società che non ha mai pareggiato i bilanci, non risolvono i problemi concreti che si ripresentano sul piano finanziario a più lungo termine.
Lasciamo stare;
ma, a maggior ragione, i dubbi si sono moltiplicati dopo la conquista delle semifinali in Champions League.
Perché tutte queste operazioni di compravendita di calciatori anche dopo aver incassato inattesi e rilevanti introiti (più di cento milioni) ?
Il risultato prestigioso non era nei pensieri dei dirigenti, visto che a gennaio scorso avevano provato a vendere Dzeko, la stella della squadra, protagonista nelle serate Champions con Shakhtar e Barça.
Ma non è che vi sia un ulteriore obiettivo, specifico e diverso da tutti quelli esposti, e segnalato proprio da quel permanente tourbillon di giocatori e di compravendite?
Ma non è che questo management gestisce la Roma anche in funzione di questo fantomatico fine accessorio, palesato da questo eccesso di movimenti di giocatori, e che sia questo il vero ostacolo alle ambizioni della squadra?
Sembrano irrinunciabili, gli effetti (economici, finanziari: magari indotti in un network di relazioni e interessi altri) del rivoltamento costante della squadra, realtà inconfutabile e permanente della Roma americana anche dopo questi eccezionali introiti; e non proprio collegati a bilanci e competitività.
La giostra inspiegabile di acquisti non contrasta con una sana gestione sportiva (orientata a vincere) e con una sana amministrazione dei bilanci (orientata a eliminare il rosso dei conti), che vedrebbero le plusvalenze e le compravendite come meri strumenti?
Già, la Roma non sembra comprare solo i giocatori utili a comporre la rosa, o giocatori che, a loro volta, valorizzati, potranno essere rivenduti per generare plusvalenze.
Guardando a molte operazioni sembra che a prevalere debba essere il perpetuarsi del meccanismo.
Quest’anno, ad esempio, che senso avrebbe avuto comporre una rosa calciatori di ventisei giocatori, con costi di acquisizione, commissioni o ingaggi davvero onerosi, in alcuni casi fuori mercato?
Se si gioca in undici, come valorizzarli?
Nonostante gli introiti (Champions e nuovi sponsor), ci si è affrettati a far sapere (Baldissoni, maggio scorso) che si era comunque costretti a riattivare il trading giocatori.
L’impressione (da scacciare) è che la Roma non sia un fine ma piuttosto un mezzo, la gestione sportiva una conseguenza, la gestione dei bilanci uno strumento.
In questo quadro i dubbi avvolgono anche diverse operazioni di mercato.
Non vogliamo chiederci perché si siano spesi denari per Spolli e Gyomber dal Catania, piuttosto guardiamo le coincidenze:
Salah e Alisson sono finiti al Liverpool (di cui sopra), Nzonzi viene prelevato a peso d’oro dal Siviglia, ex squadra del nuovo ds Monchi;
i pupilli dell’ex ds Sabatini, Kolarov e Pastore, sono ora alla Roma; Lamela finì al Tottenham di Franco Baldini, già DG dal 2011 al 2013.
Ecco, bisognerebbe dipanare tanti dubbi:
- motivi dell’ingresso Usa nella Roma, chi sia Pallotta e le ragioni della sua permanenza,
- la questione stadio,
- il ruolo di Unicredit,
- le ragioni di questo parossistico e contraddittorio trading giocatori e di alcune singole operazioni,
per rispondere ai romanisti, aggrappati a Totti e a De Rossi, simboli della tradizionale sincera passione giallorossa.
Come?
Con le risposte efficaci e utili a credere alle verità di Monchi, a Baldissoni, o a Pallotta imprenditore di riferimento, divenuto romanista.
Quali risposte?
Una per tutte, di stretta attualità: trattenere Zaniolo per quindici anni alla Roma.
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