La scarpa della poliziotta

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Storie di vita vissuta:

Mi trovavo a Kano, nel nord della Nigeria e dovevo prendere l’aereo di rientro per Lagos. Senza la minima indecisione, rassicurai i miei colleghi nel dire loro che preferivo andare subito in aeroporto ed aspettare fino alla mattina, per poter verificare di persona l’arrivo dell’aeromobile, dato che avevo appreso in Africa il lampante assioma: se l’aereo non arriva, non può nemmeno ripartire!

In aeroporto mi andai a mettere tranquillamente seduto all’interno di quell’ hangar in cui erano messe in fila una serie di scrivanie lungo tutto il perimetro. C’erano tre o quattro di quegli sportelli per fare i biglietti, ancora chiusi. Non ricordo macchinette per il caffè né per altre bevande; le persone troppo uguali per capire se fossero passeggeri qualunque o addetti intenti al lavoro.

Nel corso della notte il movimento cominciò a diminuire, ma mai del tutto; poi gradualmente aumentò; sempre più persone che camminavano, si muovevano di un moto irregolare.

Ad un certo momento (era ancora mattina prestissimo) vidi aprirsi uno degli sportelli, sopra cui non c’era scritto niente; mi vado ad informare e comprendo che non si tratta del mio volo.

La signora nigeriana:

Mi si siede vicino una signora nigeriana, con la quale scambiamo qualche parola: si tratta di una poliziotta con la quale dobbiamo prendere lo stesso aereo della linea Kabo.

Ancora niente; quell’addetto richiude lo sportello.

Dopo un po’ se ne apre un altro e già mi sembra di essere ormai molto vicino al previsto check in. Ma nemmeno questo è quello giusto.

Mi comincio a preoccupare e inizio a chiedere a destra e sinistra, da quale sportello la Kabo avrebbe iniziato il check in. Qualcuno non sa niente, qualcuno mi rassicura, ma tutti sembrano volermi dire qualcosa anche se non sembra ne siano al corrente. Sono decisamente nervoso; l’ora del check in è sicuramente passata e siamo troppo vicini all’ora prevista per il decollo; chiedo con insistenza mostrando il mio biglietto e spingendo per ottenere informazioni circa il mio volo.

Un ultimo tizio, finalmente mi mostra lo sportello al quale rivolgermi suggerendomi con fermezza di chiederne il rimborso.

Il rimborso? Ma quale rimborso.

Insisto con forza e chiarisco che non voglio alcun rimborso, devo e voglio partire! Voglio tornare a Lagos e non posso accettare alcuna altra opzione.

La soluzione che non ti aspetti:

Lo stesso individuo, allora, comincia a dirmi qualcosa che inizialmente non riesco a capire. Mi mostra, in effetti, un buco nella parete dell’Hangar e mi indica anche un aereo fermo sulla pista. Quell’apertura rettangolare si trovava a livello del pavimento, per entrarvi avrei dovuto saltare al di là di una delle scrivanie e, dopo essermi quasi inginocchiato, mi ci sarei dovuto infilare trovandomi così direttamente sulla pista.

Non sicurissimo di aver compreso appieno, ma non vedendo altre opzioni valide, scavalco la scrivania, mi ficco in quel pertugio con il mio bagaglio, mi trovo sulla pista dell’aeroporto e mi avvio verso quell’aeromobile che (stando al tizio) doveva essere il mio.

Non nego che mi sento agitato, ma nessuno mi dice niente per cui continuo ad avvicinarmi all’aereo. Intanto sento come bisbigliare dietro di me; mi giro e vedo una fila di persone che in un silenzio kafkiano hanno deciso che io stia facendo la cosa giusta e mi seguono, anche loro verso l’aereo.

Arrivati sotto la scaletta dell’aereo comincio a salire ma una serie di persone, forse addetti, mi bloccano chi da un lato chi dall’altro abbarbicati sulla scaletta; comincia il rumore; qualcuno mi dice che non potrei salire perché non ho pagato qualcosa; nella concitazione faccio finta di non conoscere l’inglese e quello, anche a gesti, mi fa capire che è necessario pagare il bollo aeroportuale che, mi mostra, deve essere applicato sul biglietto.

Spintonato dagli altri, ognuno dei quali sta svolgendo la sua propria battaglia lungo la scaletta, consegno 10 dollari all’addetto che applica in velocità il bollo; poi subito si rivolge a qualcun altro.

Riesco a mettermi seduto e dopo poco vedo arrivare la signora poliziotta che mi si siede accanto; ancora qualche minuto per parlare dell’accaduto, se l’aereo è effettivamente quello giusto, se la vicenda è terminata e la poliziotta mi chiede di tenerle il posto.

Deve scendere per recuperare una scarpa perduta nel trambusto.

Mudir

Tempo di lettura 1’20”

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