Raffaello Sanzio da Urbino morì di una banale polmonite, 500 anni fa.
Aveva 37 anni. Solo trentasette. Per gli standard di oggi quasi un ragazzo.
Che sia stata una polmonite a ucciderlo, lo hanno scoperto alcuni ricercatori in questi giorni.
Non veleno come aveva ipotizzato qualcuno.
Nemmeno mal francese o sifilide. O malaria.
Una banale polmonite virale, tipo il Covid19.
A quell’età Raffaello aveva fatto moltissime cose.
Da giovane allievo era diventato un artista famoso. Le opere che ci ha lasciato sono uno dei simboli del grande Rinascimento italiano.
Eppure ha avuto poco tempo. Si deve essere impegnato molto.
Se fosse vissuto altri 20 anni chissà cosa avrebbe realizzato?
Raffaello Sanzio da Urbino invece si spense all’improvviso per una malattia banale ma dopo aver raggiunto la grandezza.
Conobbe Leonardo da Vinci, Michelangelo Buonarroti e altri grandi del suo tempo.
E realizzò capolavori. Fu amato e ammirato. E usò la sua vita più che poteva.
Chi ha tempo non aspetti tempo, mi dicevano le suore da ragazzino.
Una scuola dura la loro ma giusta. Avevano ragione. Non rinviare.
Che ne sai del cosa sarà, dopo.
Oggi invece si vive spesso in un limbo di rinvii. Rimandiamo tante cose.
Spesso la felicità. Amo pescare ma non ho tempo. Lo farò dopo, quando andrò in pensione.
Vorrei fare tanto quel viaggio ma ho troppo da fare.
O peggio passi davanti a un museo, un negozio, una libreria in un altra città, un altro paese magari, e chi ti accompagna ti dice: ci passiamo dopo.
E quel dopo non è mai arrivato perché hai dovuto fare altre cose. Siamo maestri del rinvio.
Specie se non ci va di fare una cosa.
Ogni scusa è buona e passano settimane, mesi, anni. Sei più andato a trovare quella persona che avresti dovuto visitare? No.
Perché?
Di solito diamo la priorità alle cose sbagliate. Quelle che ci imponiamo da soli o ci impongono gli altri. Ci muoviamo senza un vero programma.
Lavoro a parte.
E ci perdiamo un sacco di cose.
Credo che Raffaello non abbia perso un attimo.
Come avrebbe potuto altrimenti mettere a frutto una vita durata la metà, o poco meno, di una vita media di oggi.
Col Covid19 abbiamo visto tutti come la vita, il mondo, possano diventare relativi.
Come alcuni valori, che consideriamo assoluti, possono traballare colpiti da eventi più grandi di noi.
Resta il fatto che mettere a valore quello che abbiamo è doveroso.
Verso noi stessi, per prima cosa.
Una campionessa di pattinaggio russa di soli 20 anni si è uccisa pochi giorni fa.
Bellissima, brava, dotata. Si è uccisa per amore. Pare.
Assurdo. Ma vero.
Chi spreme tutto quello che può dalla vita.
Quasi sapesse quanto può essere breve. E chi la vita, la butta via, così forse per niente.
Ekaterina Alexandrovskaya, 20 anni compiuti lo scorso Capodanno, si è buttata dalla finestra della sua casa a Mosca.
Ha lasciato un biglietto. Sopra c’era scritto Amore.
Chissà se Raffaello e Ekaterina si incontreranno nel mondo che dicono ci sia dopo la morte. Il pittore di Urbino era un grande amatore.
Trovava anche il tempo per le sue amanti, tra un capolavoro e l’altro.
La bellissima ragazza russa forse gli sarebbe piaciuta. Magari sarebbe finita in un ritratto come La Fornarina.
Di certo il dramma di questa giovane vita spezzata ci insegna che in certe faccende bisognerebbe essere cauti.
D’amore, malattie sessualmente trasmesse a parte, non è mai morto nessuno.
Probabilmente la ragazza aveva altre fragilità che i suoi allenatori, i parenti, gli amici, non hanno capito.
Magari c’entrava la salute che l’aveva costretta al ritiro dalla nazionale Australiana. Chissà cos’è successo ?
Forse qualcuno l’ha vista triste. Magari avrà pensato: la chiamo domani.
Peccato che domani era troppo tardi. Ekaterina è morta.
Potessi andrei io a fermarla, povera ragazza.
Le direi, ti innamorerai ancora. Niente e nessuno meritano quello che stai per fare.
La vita è bellissima anche se ti fa soffrire.
Ma non si può.
La vita non ha la marcia indietro, né il rewind.
Va avanti come un rullo compressore.
Un autobus in corsa che ogni tanto si perde qualche passeggero.
Raffaello e Ekaterina.
Lui 500 anni addietro, lei pochi giorni fa.
Due storie diverse. Due esempi. Che fanno pensare al valore del tempo e di come lo utilizziamo. Per fare cosa.
Scrivere il capolavoro della letteratura mondiale, come Luis Sepulveda, ucciso dal Coronavirus a 71 anni o comporre la musica che amiamo come Ezio Bosso morto a 48 anni. Salvare un’amica.
Come la bella pattinatrice russa.
Raffaello era un umanista un uomo del Rinascimento.
Come tutti gli uomini di quel tempo, ribadì la centralità dell’uomo. Il primato del fare sul contemplare.
Ekaterina era una ragazza di oggi che forse, non ha saputo gestire i suoi sentimenti perché non le era stato insegnato. O forse stava vivendo un dolore insopportabile.
Eppure era una campionessa.
Forza e fragilità. Debolezze e resilienza. Crollare sotto il peso delle delusioni e i colpi dell’esistenza.
Può capitare a chiunque.
Il destino di Raffaello, quello di Luis Sepulveda, di Ezio Bosso. Persino di Ekaterina.
È la vita. Non ci possiamo fare niente. O no?
La prossima volta che ci troviamo a dover decidere sul che fare, potremmo pensare a loro.
Storie tanto diverse e per questo capaci di darci ispirazione.
A scegliere quello che conta. Ed è più importante.
Per noi. E per chi ci sta vicino.
Decidere e fare. Non aspettare. Non rinviare.
Tutto ma non lasciarci svolazzare qua e là mossi dal vento della vita.
Come una foglia morta.
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