.. e Brexit fu: Ora cosa accadrà?

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di Claudio Razeto

PER LA GRAN BRETAGNA DOPO LA BREXIT E’ L’ORA DEL POST BREXIT

Ormai è ufficiale. La  notte tra il 31 gennaio e il 1 febbraio 2020 entrerà nella storia come quella dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea.

La Brexit alla fine si è consumata.

Con tanto di discorso tv del premier Boris Johnson vero artefice del distacco.

I cittadini britannici, adesso, potranno dirsi liberi dai vincoli dell’Europa che perde con la Gran Bretagna, uno dei suoi paesi membri più importanti.

I cittadini inglesi diventano extracomunitari.

Quelli europei, dal 2021, dovranno chiedere il permesso per entrare il Gran Bretagna e soprattutto per lavorarci.

Quelli che già ci stanno, dopo l’emigrazione massiccia di questi anni, vedranno regolata diversamente la loro permanenza, con nuove e più stringenti norme. Ma questo non accadrà subito.

Intanto Nigel Farage, il “padre” dei leave lascerà il consesso europeo e tornerà a casa.

https://www.ilsole24ore.com/art/nigel-farage-serpe-seno-che-lascia-l-europarlamento-20-anni-ACn4HFFB

E la domanda che tutti si fanno è, cos’altro succederà?

Non molto nell’immediato.

Il vero distacco ci sarà solo il 31 dicembre 2020.

Dovrà passare un periodo di transizione di 11 mesi.

Servirà a regolare, con dei trattati, i rapporti tra Gran Bretagna e UE.

Ma intanto il “divorzio” si è consumato.

Dopo un referendum, varie crisi di governo, dimissioni, discussioni, manifestazioni di piazza, la caduta di diversi premier (da Cameron alla May) e una sorta di isteria collettiva, durata mesi, se non anni.

L’hanno avuta vinta i “leave”, i sostenitori del distacco.

Ora la questione riguarda il post-Brexit.

E le conseguenze, non poche, che ci saranno sicuramente.

A partire dallo status di 3,6 milioni di cittadini di Paesi Ue, inclusi quasi 400mila italiani (oltre 700mila con i non registrati), che risiedono stabilmente in Gran Bretagna.

E poi quello degli oltre 1,2 milioni di cittadini inglesi residenti in Europa.

Dal 2021 ci sarà il blocco alla libertà di circolazione.

Ma non per questo si smetterà di andare a Londra a fare i turisti o lo shopping.

Studiarci sarà più difficile e soprattutto costoso.

Si parla già di 21.000 sterline all’anno per frequentare una prestigiosa università inglese senza il supporto dei prestiti d’onore.

Andare a studiare a Londra non sarà più così conveniente e sicuramente non per tutti.

E poi dogane, confini, permessi, burocrazie, pezzi di carta, formalità, soprattutto, ma anche scambi economici regolati, imposte su beni importati ed esportati.

Boris Johnson punta a ottenere un trattato di libero scambio con i 27.

Zero dazi e zero quote, non è detto che ci riuscirà.

Tanti i rapporti che saranno regolati dagli zelanti commissari europei.

Un caso post Brexit tra tanti? La pesca.

Le acque territoriali britanniche torneranno ad essere quelle pre-Europa.

I pescherecci europei non potranno più catturare, come facevano, il pesce inglese.

Ne pescavano parecchio, più degli stessi british.

Sardine, tonni, sgombri con il marchio della “Union JacK” la bandiera inglese, finiranno in reti certificate british.

Per finire nei tradizionali fish&chips e per essere venduti, in Europa, magari ad un prezzo maggiorato perché di importazione.

Se avranno le caratteristiche che l’Unione richiede per poter essere consumati sulle tavole del Continente.

Lo stesso dicasi per il tea inglese, i biscotti al burro, lo Scotch whisky, il Gin e il Rhum.

Forse costeranno di più o forse no. Dipenderà dagli accordi.

I paradisi fiscali inglesi (le Channel islands, le Cayman ecc.) continueranno ad esistere – come in epoca pre Brexit – e ad accogliere capitali stranieri, anche dall’Europa, almeno fino a quando le norme comunitarie o dei singoli paesi dell’Unione lo consentiranno.

Scopriremo, passo passo, come cambieranno i rapporti della old Britannia con gli ex soci di Bruxelles.

Tutti paesi che guarderanno agli accadimenti inglesi come una sorta di laboratorio in cui verificare cosa succede se un paese lascia il club dell’Unione.

Ma la vera partita per gli inglesi, quella del vero post-Brexit, non sarà solo quella dei rapporti con l’Europa.

In realtà sarà un travaglio interno al paese di sua maestà la Regina Elisabetta. E non basteranno a distrarre l’opinione pubblica, il gossip su Harry, Meghan e la Royal family.

Quello di cui pochi hanno parlato in questi lunghi mesi di scontro separatista, sono i veri motivi di un disagio tutto interno, inopinatamente riversato sull’Europa, quando invece riguardavano la stessa economia e il futuro della Gran Bretagna.

Da un lato il malcontento di Scozia e Irlanda del Nord, che in Europa sarebbero volentieri rimaste e che ora emergerà con forza, dando nuovo fiato alle trombe dell’indipendentismo separatista.

Le differenze tra l’Inghilterra del nord e Londra.

Dall’altro la questione della differenza tra nord e sud del Paese che disegna due mondi diversi e distaccati nella stessa Inghilterra.

Uno più “antico” tradizionalista, più chiuso, anti immigrazione e ostinatamente contrario alla immigrazione e alla globalizzazione.

Legato alla campagna verde e alle piccole e pittoresche cittadine inglesi del nord.

L’altro internazionale, poliglotta, globalizzato, più moderno e generazionalmente giovane, saldamente insediato nella cool London e nel Sud del paese.

I primi, hanno rappresentato lo zoccolo duro del movimento dei “leave”.

Gli altri sono quelli che hanno combattuto fino alla fine sul fronte del “remain” invocando persino un secondo referendum.

Questi due mondi, nord e sud, Londra e il resto del paese, vivono un distacco un  disagio sociale ed economico che viene da lontano.

Dai tempi di Margareth Thatcher e degli scontri con gli operai e i minatori.

Quando le grandi città industriali del nord, quelle che dipendevano dall’acciaio e dal carbone, sono andate in crisi impoverendosi.

In regioni come il Lancashire e il North Yorkshire, persistono tutte le difficoltà economiche della working class britannica, la disoccupazione, fino alle tensioni sociali esplose persino nella violenza delle tifoserie calcistiche.

Mentre il sud e soprattutto Londra sono costantemente cresciute, tra miliardari stranieri, prezzi da capogiro degli immobili, immigrazione economica e speculazioni, il nord, tradizionalista, nostalgicamente legato all’antica Inghilterra industriale, ha visto la decrescita avanzare e consolidarsi.

Se Londra negli anni, superata l’austerity degli anni ’70, è diventata sede di startup, di società straniere e nuova imprenditoria (anche europea), fashion trendy e globale (non senza un sostanzioso contributo di fondi e di menti importate da tutta Europa), città come Liverpool e Manchester sono degradate con gli anni.

I tagli al welfare, alla sanità (incredibilmente una delle peggiori d’Europa), ai servizi pubblici hanno fatto il resto.

https://www.lindro.it/sanita-gran-bretagna-volto-nascosto-della-crisi/

Il popolo della Gran Bretagna anni 2.000, ha voluto addossare all’Europa “matrigna” la responsabilità di questa situazione.

I lacci e laccioli, le regole e i regolamenti, a volte anacronistici, provenienti dall’Europa, hanno causato un fastidio crescente nei sudditi di sua Maestà che Boris Johnson, a capo dei Tory, i conservatori inglesi, ha saputo trasformare prima in protesta e poi in consenso elettorale.

Il problema è che adesso, il biondo premier, dovrà decidere cosa fare per riportare il paese allo splendore “imperiale” che ha vagheggiato in campagna elettorale.

Una sorta di British Empire 4.0, un’isola “franca” libera di agire a livello globale e di attrarre capitali e sviluppo per cavalcare gli anni a venire.

La promessa dei Labour di Corbyn, di rifondare uno stato di welfare, di solidarietà con i più deboli, di recupero delle aree disagiate del paese, che nonostante i lustrini londinesi, esistono, è stata sonoramente bocciata dagli elettori. E allora avanti col liberismo spinto, con il capitalismo d’assalto.

Con le grandi industrie inglesi gradualmente assorbite dalla globalizzazione, non resta che la finanza. Londra come riferimento per i miliardari di tutto il mondo. Come del resto è accaduto fino ad oggi, anche quando c’era l’Europa.

La Brexit, questa fantasmagorica rappresentazione, è finita

Grazie ad alcuni dei suoi sostenitori è stata vissuta come un film storico.

Contro l’Europa è stato evocato – anacronisticamente – un periodo che potremmo definire di storia gloriosa.

Per molti inglesi, acclamare la Brexit, è stato come sostenere i piloti degli Spitfire, nella battaglia di Inghilterra del ’40, o partecipare allo sgombero dei superstiti da Dunkirk.

Quasi i pescherecci nel mare del Nord, battenti bandiera olandese o francese, fossero l’invicibile Armada spagnola o facessero parte delle forze di invasione nazista di Hitler.

Persino Boris Johnson, appassionato biografo di Winston Churchill, nel suo libro “The Churchill factor”, ha rievocato i giorni eroici dell’ora più buia, quella dell’estate del 1940, e narrato la favola di una nazi-Europa incombente, che di fatto non è mai esistita.

https://en.wikipedia.org/wiki/The_Churchill_Factor

Gli inglesi, per mesi, si sono fatti “affascinare” da questo mood.

Un sentimento nostalgico che va da Waterloo alla battaglia di Azencourt, con gli arcieri gallesi che annientavano la cavalleria francese.

Peccato, anzi per fortuna, non ci fosse nessuna guerra da combattere contro l’Europa. Anzi.

Ora la Gran Bretagna dovrà “ricomporre il tessuto sociale frantumato dalla Brexit”.

Ora però si torna a una realtà ben diversa dal nostalgico richiamo verso i fasti del passato. E per questo se la dovrà vedere, più che con i commissari europei, con il dissenso di scozzesi e nord irlandesi.

Con i cittadini del nord, tradizionalisti, anziani e non globalizzati, che hanno votato in massa la Brexit, sperando in un nuovo corso.

Quelli che hanno votato “leave” per contestare la crisi persistente, che in realtà è tutta interna ad una Gran Bretagna incapace di trovare nuovi stimoli che non siano quelli speculativo-finanziari dei banchieri della City londinese. Quella dei ricchi sempre più ricchi e dei poveri sempre più poveri.

Dell’arroganza della upper class contrapposta al disagio di chi non emerge socialmente, risalendo la china sociale.

Dei giovani inglesi senza lavoro perché surclassati dagli stranieri europei in cerca di un futuro, più che di un assegno dell’assistenza sociale.

La vera partita post Brexit, per Boris Johnson, inizia adesso

Con la Gran Bretagna stretta tra l’Unione Europea, l’invadenza statunitense e i dazi di Trump, i giochi russi di Putin (che ha usato Londra come terreno di scontro spionistico e militare), la Cina e il resto del mondo globalizzato. Comprese le sue ex colonie, sempre più distanti e distaccate e mal disposte a subire una restaurazione imperiale.

Per l’Europa, per chi ci crede ancora, il rammarico di vedere il distacco di una componente che avrebbe potuto, se maggiormente coinvolta, ammorbidire l’asse tra Parigi e Berlino.  E giocare un ruolo importante.

Con vantaggi anche per paesi come l’Italia e i membri dell’asse meridionale oggi esposti alle crisi aperte dalla guerra in Libia e dalle crisi dell’Africa sub sahariana.

I nuovi scenari richiederanno azioni sempre più concordate tra i partner occidentali e alla fine comunque, anche se nella post Brexit, la Gran Bretagna non potrà evitare di immischiarsi in queste incombenze.

Compreso il ruolo nella difesa comune e nella NATO.

Quello di sicurezza davanti ad accadimenti che vanno dal corona virus cinese ai foreign fighters islamici.

Churchill nell’Europa unita, capace di allontanare non solo guerre ma anche crisi, ci credeva fermamente.

Con buona pace di Boris Johnson e del suo libro. Ora il biondo e istrionico premier britannico dovrà mostrare ai sudditi di sua Maestà e al mondo, cosa sarà del futuro della Gran Bretagna, e il ruolo di un paese dal grande passato, in uno scenario futuro sempre più complesso

E soprattutto mostrare al mondo in cosa consisterà, concretamente, il suo post Brexit 2020-2021.

Claudio Razeto

Tempo di lettura: 2’30”

Foto tratta da: https://www.insurancejournal.com/news/international/2020/01/30/556884.htm

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