I ragazzi di Greta, gli hater e le sorti del pianeta

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di Claudio Razeto

Perché Greta Thunberg?

E’ come se dopo tanto tempo i giovani, non solo in Italia ma in molti paesi del mondo, fossero tornati a far sentire la propria voce.

Scesi in piazza per il futuro del pianeta ragazzi di ogni età dai dodicenni agli studenti adolescenti, hanno battuto un colpo che i palazzi della politica non hanno potuto fare a meno di sentire.

Qualche adulto ha storto la bocca, criticato, con aria di superiorità scettica.

Persino preso in giro quei ragazzini impegnati in una protesta ispirata all’utopia:

Salvare la terra dall’inquinamento e dal riscaldamento globale.

Chi detiene il potere politico e soprattutto economico-finanziario non ama essere chiamato in ballo né dover dar conto di cosa si sta facendo, o non facendo, all’ambiente e di come lo lasceremo in eredità.

I giorni in cui i giovani protestavano per la pace nel mondo, per l’amore universale sono passati da tanto tempo.

Quelli che erano giovani negli anni ‘60 e ‘70 oggi sono la classe dirigente.

Guidano o contribuiscono a guidare aziende, organismi internazionali, partiti politici e governi.

In un mondo in cui molto, se non tutto è cambiato, dalla politica ai confini geografici, non è mai mutato il modo di sfruttare il pianeta, di accaparrarsi le risorse, di imporre un dominio finanziario basato sui profitti in cui pochi grandi oligarchi della terra dominano le sorti del pianeta.

I governi basano il successo delle proprie politiche economiche sui numeri e sui profitti, la ricchezza è calcolata in base alle cose possedute e alla capacità di acquisto.

E la ricchezza è diventata, erroneamente, sinonimo di felicità e benessere.

I paesi ricchi sono tali perché possono permettersi, o quasi, che almeno una parte della propria popolazione possa acquistare e comprare una quantità di beni e alcuni di questi beni sono prodotti solo per i più ricchi.

L’ostentazione di questa ricchezza è parte del meccanismo perverso che diffonde nelle popolazioni il desiderio di aspirare a quello status o almeno a qualcosa di simile.

Un tempo il desiderio di ogni essere umano, nato e residente nei Paesi dell’Occidente, era crescere, studiare, trovare un buon posto di lavoro, sposarsi, generare dei figli, comprarsi una casa, poi un’automobile.

La libertà era quella di andare a fare una gita con gli amici, oppure una bella vacanza.

Fare un po’ di carriera. Aspirazioni dell’uomo e della donna del cosiddetto ceto medio.

Poter elevare il livello che era stato raggiunto dai propri genitori che magari si erano sacrificati per far studiare i figli, era l’aspirazione un po’ di tutti.

Molti, non tutti, riuscivano a raggiungere questo obiettivo.

Magari qualcuno volendo ottenere tutto e subito, si ritrovava in bolletta. Qualcun altro non aveva esattamente il percorso di carriera che si era immaginato.

Però in generale si stava bene. Le nuove infrastrutture costruite anche con il crescere della tecnologia venivano ereditate dalle generazioni successive.

Parliamo di ponti, autostrade, ferrovie, aeroporti, centri storici delle città ammodernati.

Ma anche un clima di pace sociale che faceva vivere tutti meglio, anche se questo veniva spesso messo a rischio dai singulti della politica istituzionale e non.

Però si può affermare che esisteva nel passato la possibilità di coltivare l’aspirazione in un futuro migliore e la possibilità di poterlo cambiare.

Passata la furia di due guerre mondiali i Paese Occidentali, quelli che non erano finiti nella sfera comunista dell’Est, assaporarono il benessere che tradotto in termini pratici, basati sul modello USA, voleva dire comprare cose: la lavatrice, la televisione a colori, la lavastoviglie e così via.

In fondo era un mondo semplice basato su regole semplici. Nasci, cresci, lavori, acquisti tutto quello che può renderti felice o semplificarti la vita, e alla fine del viaggio muori lasciando ai figli, ai nipoti, al coniuge superstiti, i beni e i soldi, che eri riuscito ad accumulare,

Un appartamento, un conto in banca pieno, mobili, perfino l’argenteria o la collezione di orologi.

Le famiglie più ricche lasciavano in eredità un’azienda, un albergo, un negozio o una catena di negozi.

Oggi alcune di quelle aspirazioni esistono ancora tra i giovani che studiano e si preparano alla vita.

Però qualcosa nel meccanismo si è rotto.

Una strana inquietudine pervade le nuove generazioni.

La paura di non farcela, quella di non trovare lavoro, addirittura di non avere un futuro.

Di non ripetere le performance dei propri genitori. Sia a livello individuale che globale.

Le cose intorno a noi non vanno proprio bene:
  • la pace nel mondo non esiste
  • l’inquinamento genera malattie nuove e mortali
  • l’ambiente viene deteriorato grazie a un’industria talvolta dissennata se non criminale
  • scompaiono pezzi interi di foreste
  • vengono inquinati o dissecati i fiumi
  • lo smog grazie ai milioni di automobili in circolazione aumenta
  • sia le periferie che i centri storici delle città subiscono un deleterio degrado
  • la plastica invade il mare e gli spazi verdi, e molto altro.

C’è da essere preoccupati? Direi un bel po’.

In Italia si discute di Treni veloci, vaccini da fare o no, accordi con la Cina (per portare altri milioni di merci cinesi in Italia e in Europa) che vuole crescere ancora con sistemi capitalistici, nonostante sia l’ultimo grande paese comunista del mondo.

Alla faccia delle emissioni, del CO2, persino dei pericoli legati al riarmo nucleare.

Poi arriva una ragazzina di 16 anni, svedese (che non è uno dei Paesi messi peggio in Europa), con un cartello al collo che vuole ricordare a tutti che abbiamo un solo Pianeta e che distruggerlo equivale a suicidarci. I social, prima che i giornali e le tv, diffondono il messaggio e alla fine in un Venerdì di marzo del 2019, migliaia di giovani scendono in piazza in tutti i Paesi del mondo per denunciare questa terribile situazione e il pericolo che tutti, stiamo correndo.

La foto di Greta Thunberg finisce su tutti i giornali e le sue immagini, con quella dei ragazzi in corteo, va sui tg di tutto il mondo. Sembra una cosa bella. Un tempo simili manifestazioni, meno planetarie, hanno portato alla fine di guerre, vedi l’America del Vietnam.

Sarà utopistico ma credo sia bello, e le cose belle andrebbero comunque appoggiate. Invece no.

Gli hater del web si risvegliano. Fanno considerazioni sull’aspetto fisico della ragazzina, che tra l’altro soffre di una malattia che non le ha impedito di farsi testimone di questa memorabile iniziativa.

Il popolo dei webeti si scatena – contando anche qualche personaggio pubblico – e si sbrana sul web come un branco di lupi famelici. C’è qualcosa che non funziona nel nostro mondo.

Che i leader delle aziende, della politica, della finanza se ne freghino – per fortuna non tutti – delle sorti della Terra è risaputo. Alla fine contano soprattutto i soldi, i dividendi, le cedole azionarie, i capitali, gli indici di borsa e l’accaparramento che fa pubblicare, senza tanti sensazionalismi, la lista dei miliardari – pochi rispetto alla massa – che si dividono le ricchezze magari ostentandoli in tv e in pubblico senza alcun pudore.

Ma che la massa, la stessa che vive le difficoltà e le ristrettezze e i problemi di oggi, la stessa che soffrirà per prima gli effetti di questo degrado, attacchi una ragazzina idealista, è una cosa brutta.

Una cosa da infami vigliacchi.

Un effetto di massa, che fa tristezza e che fa seriamente pensare che questo mondo non meriti una come Greta, non meriti dei giovani che a dispetto di tutto sognano ancora.

Una massa che non meriterà mai il Nobel, che spero proprio assegneranno a Greta Thurman e ai ragazzi del Venerdì, scesi in piazza per una delle cause più nobili: salvare l’ambiente in cui viviamo.

Claudio Razeto

Tempo di lettura 1’25”

Foto tratta da: https://www.newscientist.com/article/mg24132213-400-greta-thunberg-why-i-began-the-climate-protests-that-are-going-global/

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