IL NUOVO CAPO DEL GOVERNO LA SIRIA E GLI EQUILIBRI MONDIALI

42692

Capita di svegliarsi un week end e scoprire dai telegiornali che USA, Francia e Gran Bretagna hanno deciso di bombardare la Siria.

Una di quelle operazioni di peace keeping bellico organizzate a colpi di missili e bombe intelligenti.

Il Presidente americano Trump ha deciso che il governo di Assad è un pericoloso fabbricante di armi chimiche e che per questo va punito con buona pace di Russi e Iraniani.

Intanto la Turchia di Erdogan sta a guardare.

L’operazione ha avuto la partecipazione di Macron, da Parigi, e di Theresa May, da Londra.

Entrambi convinti che la minaccia siriana li riguardi tanto da vicino da inviare in missione i propri caccia bombardieri a partecipare alla fulminea missione di guerra.

La notizia ha scosso il tiepido fine settimana di aprile infilandosi tra quelle di sport e di cronaca oltre che dell’immancabile politica italiana ferma al palo delle consultazioni per la formazione del nuovo governo, ormai da settimane.

IL BOMBARDAMENTO IN SIRIA E LEREAZIONI ITALIANE

Unica nota ufficiale da Roma, quella del governo ancora in carica, che nella persona del premier Gentiloni ha negato agli attaccanti l’uso delle basi aeree normalmente riservate alla Nato.

A questa si è aggiunto il twitter di Matteo Salvini, Lega, che ha accusato Trump e i suoi sodali di aver attaccato la Siria sulla base del solito fake sulle armi chimiche.
Fake già utilizzato a suo tempo per far fuori Saddam Hussein in Iraq.

Non ci sarebbe infatti prova dell’esistenza di armi di distruzione di massa a parte le dichiarazioni dei servizi di intelligence statunitensi.

Salvini si era già espresso nei giorni scorsi contro le sanzioni alla Russia di Putin, grande alleata della Siria, considerate da un lato un errore dall’altro causa di perdita di fatturato per numerose aziende italiane che a Mosca fanno affari da anni.

Più diplomatico Di Maio, candidato dei 5Stelle a Palazzo Chigi, che condannando genericamente l’uso della forza ha auspicato una soluzione pacifica sotto la guida delle Nazioni Unite.

Più secco Berlusconi che, bacchettando entrambi, ha dichiarato che “in certe circostanze sarebbe meglio tacere”.

IL NUOVO PREMIER E LE CRISI INTERNAZIONALI

Ora una situazione del genere, una crisi internazionale con tanto di intervento bellico, è sicuramente un banco di prova impegnativo per chi volesse aspirare a ricoprire l’incarico di premier.

Quella Siriana è sicuramente una crisi internazionale difficile e articolata.

Per quanto possa contare il nostro Paese, il futuro Presidente del Consiglio italiano sarà chiamato sicuramente ad esprimersi e prendere posizione possibilmente in maniera seria e autorevole.

Per farlo avrà sicuramente il supporto di apparati dello Stato che da sempre fanno questo mestiere basandosi su relazioni, studi e analisi.

Ma di suo dovrà metterci la faccia e la capacità di rappresentare al meglio l’Italia.

In questo mondo sempre più popolato da autoritari e pericolosi Premier non si tratta di un lavoro facile.

Macron e la May hanno dato l’idea di dover assentire ai piani di Trump con il più classico degli “obbedisco”.

Così come tanti anni prima Tony Blair diede il suo assenso alle false accuse di armi chimiche in Iraq giocandosi definitivamente la faccia e la carriera politica.

Gli americani sono forti, potenti ma non sempre affidabili.

Specie in politica estera e le decine di crisi mondiali in cui si sono trovati impelagati negli ultimi cinquant’anni lo dimostrano dal Vietnam alla Siria.

GLI ONORI E GLI ONERI DEL FUTURO PREMIER

Se io fossi Di Maio o Salvini, al di là della gioia già svanita per il successo elettorale, non sarei così tranquillo.

Se arriverà l’incarico a palazzo Chigi avrà onori ma anche oneri e questi possono essere estremamente pesanti.

Ne sa qualcosa Massimo D’Alema che all’epoca dei DS, pacifisti e non interventisti, si trovò a dover gestire la guerra del Kosovo.

I bombardieri italiani che decollavano dalle basi nazionali per sganciare missili e bombe più o meno intelligenti sulla Serbia e sulle sue milizie.

Guidare un Paese vuol dire anche questo.

Non è sufficiente trovare i soldi per il reddito di cittadinanza o la faccia per andare chiedere sconti in Europa.

L’Italia in crisi ha bisogno di grandi riforme ma purtroppo il mondo e la storia non stanno lì fermi a guardare.

A a volte gli accadimenti internazionali possono prendere pieghe drammatiche e inaspettate specie quando sono guidate da protagonisti tanto potenti quanto volubili.

In passato altri ex premier hanno dovuto barcamenarsi tra Nato, americani e crisi internazionali a volte epocali.

Sto parlando di De Gasperi, Moro, Andreotti ma anche Togliatti e persino Craxi.

Loro in maniera diversa riuscirono a rappresentare gli interessi italiani anche affrontando in maniera ruvida avversari e alleati.

Di certo il Paese uscì da queste crisi senza gravi danni e con il necessario prestigio conservato faticosamente fino ad oggi.

Speriamo che, chiunque riesca a formare il governo, ne sarà ugualmente capace altrimenti, per tutti gli italiani, sarebbe un bel guaio.

Claudio Razeto

Tempo di lettura: 1’50”ex

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.