60 anni fa Paul D. MacLean, un neuroscienziato statunitense, elaborò la teoria del “cervello trino”, con lo scopo di descrivere l’evoluzione dell’encefalo.
Il nostro cervello si sarebbe evoluto gradualmente, aggiungendo a una struttura di base (il cervello dei rettili, dominato dagli impulsi primari), quello dei mammiferi primitivi (corrispondente al sistema limbico e deputato alle emozioni), e quello dei mammiferi evoluti (la neocorteccia razionale).
In pratica il nostro cervello rispecchierebbe le fasi di evoluzione dei vertebrati, che a loro volta si differenziano per la presenza di un cervello sempre più complesso.
Questa teoria parzialmente superata scientificamente da scoperte successive, esercita ancora un grande fascino su pubblicitari ed esperti di neuro-marketing.
Secondo MacLean, il cervello rettiliano, tipico dei rettili (risale a 500 milioni di anni fa), è la più antica struttura anatomica del nostro cervello, e si occupa di tutti i processi cosiddetti automatici come respirare, far battere il cuore, difendere il territorio ma anche della riproduzione e della ricerca del cibo.
È di piccole dimensioni ma possiede una forza straordinaria.
Non ha pazienza o simpatia per niente che non sia il benessere e la sopravvivenza. Agisce in tempi molto rapidi, secondo schemi rigidi e stereotipati: la stessa stimolazione produrrà sempre lo stesso effetto.
Questo cervello arcaico non si è praticamente evoluto da tre milioni di anni fa a oggi.
Il cervello limbico o emotivo, che risale a 300 milioni di anni fa, ha un ruolo cruciale nell’affettività ed è quella parte del nostro cervello che governa il nostro bisogno di sentirci sicuri; valuta le emozioni, le confronta con situazioni che abbiamo vissuto e ci “consiglia”, a volte “impone”, la risposta;
i tempi sono ultraveloci (meno di 100 millisecondi) e avvengono in modo non consapevole. È come un velocista pronto a scattare allo sparo dello “starter”:
in certe situazioni non c’è tempo per riflettere per cui in genere bastano risposte “grossolane” (primum vivere, deinde philosophari, twittavano gli antichi qualche secolo fa): nel dubbio che un bastone possa essere un serpente, meglio scappare …. poi si vedrà).
È legato principalmente alle emozioni, come collera, paura, felicità, amore, sorpresa, disgusto o tristezza, e ai sentimenti soggettivi, le reazioni emotive e le emozioni sociali come l’ansia da separazione, il gioco e l’attenzione materna.
Questo ci consente di evitare situazioni viste come dolorose e di ricercare quelle piacevoli e spiega molti comportamenti “quasi umani” dei mammiferi.
La neocorteccia o cervello razionale, è il più “moderno” in termini evolutivi: apparve 200 milioni di anni fa.
È l’area del cervello dove si sviluppano linguaggio, pensieri, analisi e processi decisionali.
La neocorteccia immagina, crea, si proietta nel futuro; è il cervello dell’adattamento, della plasticità, della creatività, ed è il luogo della capacità di risolvere problemi complessi, dove si sviluppa il pensiero critico, la riflessione, il ragionamento logico, il pensiero astratto del sapere, delle invenzioni, delle idee e della fantasia.
In sostanza, è l’unica parte del nostro cervello di cui abbiamo il controllo diretto. Rispetto ai due livelli precedenti è molto più lento e necessità di tempo per valutare e reagire agli stimoli: ha salvato l’australopiteco quando è sceso dagli alberi, permettendogli di fare fronte alla ferocia dell’ambiente e degli aggressori.
Cervello, pubblicità e neuro-marketing
Il cervello è la nostra centrale di controllo e fa di noi ciò che siamo. Se non ci fosse, saremmo manichini senza vita: per definizione, la morte coincide con la cessazione di tutte le sue funzioni.
Semplificando, il nostro cervello anche se unico ed integrato, si compone di tre entità ben distinte.
Una campagna pubblicitaria ben strutturata, anche se presenta un prodotto di alta qualità, un messaggio persuasivo e un design accattivante, che non coinvolga tutto il cervello del consumatore, è destinata a fallire.
Il marketing ha l’obiettivo di rivolgersi a tutti e tre i cervelli, in modo tale da evitare conflitti che potrebbero portare a decisioni di non acquisto.
Tuttavia, a volte, le emozioni e gli impulsi primitivi annullerebbero il controllo esercitato dalla neocorteccia.
Ciò spiegherebbe alcuni comportamenti “irrazionali” o “incontrollati” che emergono quando reagiamo in maniera violenta e istintiva a una provocazione o ci abbandoniamo al classico acquisto d’impulso di cui pentirci un minuto dopo.
La pubblicità degli albori era rivolta al cervello Razionale: voleva persuadere il cliente con motivazioni logiche.
Foto, colori e video non erano ancora presenti ed i messaggi stampati erano esclusivamente testuali: il destinatario era quindi necessariamente la “testa”.
Negli Anni 20, le imprese compresero l’importanza del marketing come strumento per aumentare la domanda.
Nel dopoguerra le piccole società pubblicitarie basarono le loro campagne in gran parte sull’intuizione e sulle trovate, mentre le multinazionali della pubblicità, soprattutto statunitensi, le basarono su ricerche di mercato e strategie di marketing ben precise.
All’inizio del XXI secolo, quando si manifestò una parziale saturazione della domanda e aumentò la pressione competitiva, nacque il neuro-marketing, una scienza che studia l’interazione tra neuroscienze, psicologia ed economia per analizzare le risposte fisiologiche che portano un acquirente ad effettuare un acquisto.
La scoperta è che quando prendiamo una decisione, essa non è mai solo merito della nostra parte più razionale.
Nel processo decisivo giocano un ruolo fondamentale anche le emozioni, spesso non direttamente controllabili, È una forma di marketing evoluto che “legge nel pensiero”.
Nel neuro-marketing, la neo-corteccia è fondamentale nelle decisioni di acquisto basate su valutazioni razionali e analitiche.
Esempio: un’azienda che vende elettrodomestici potrebbe mostrare come il prodotto sia energeticamente efficiente e tecnologicamente avanzato; nell’acquisto di un’automobile, analizza vari fattori come il consumo di carburante, la sicurezza, il prezzo e le recensioni, aiutando a fare una scelta ponderata.
Dunque è particolarmente importante per comunicare con i consumatori che cercano informazioni dettagliate e logica nei loro acquisti.
Tuttavia un eccesso di informazioni impedisce la decisione: è essenziale bilanciare l’approccio razionale con elementi emotivi e istintivi per creare una strategia di marketing completa e coinvolgente.
Per influenzare i processi decisionali d’acquisto è indispensabile dunque individuare canali di comunicazione più diretti.
Anche se gli individui credono di essere guidati dalla logica, il sistema limbico è una componente fondamentale del cervello che gioca un ruolo cruciale nel neuro-marketing.
Attraverso la sua comprensione si possono creare campagne più efficaci e coinvolgenti che puntino sul bisogno di appartenenza, di approvazione, di status sociale, in una parola, di essere amati.
Esempio: le campagne di beneficenza evocano emozioni forti come empatia e compassione per spingere all’azione; un consumatore potrebbe scegliere un’auto non solo per le sue caratteristiche tecniche ma anche per il senso di status o sicurezza che essa trasmette.
L’introduzione di colori, grafica, musica, animazione, ha permesso di rivolgersi al “cuore”, richiamando una risposta emozionale: si vedano ad esempio molte campagne pubblicitarie senza una sola parola scritta (es. Nike o Benetton).
Nel campo del neuro-marketing, il cervello rettile, sempre alla ricerca di sicurezza e comfort, gioca un ruolo cruciale.
La sua propensione per le reazioni istintive può essere sfruttata per influenzare le decisioni di acquisto. I messaggi devono essere semplici e diretti.
Complessità e ambiguità sono spesso ignorate da questa parte del cervello che cerca chiarezza e immediatezza.
Esempio: Le pubblicità che creano un senso di urgenza, come quelle che annunciano “Offerta limitata!” o “Ultimi pezzi disponibili!” o promettono “facilità d’uso” o “garanzia a vita” o “Risparmia ora, compra oggi!”. Le immagini di persone sorridenti che utilizzano un prodotto possono trasmettere un senso di felicità e soddisfazione.
Rita Levi-Montalcini sosteneva: “Rare sono le persone che usano la mente, poche coloro che usano il cuore e uniche coloro che usano entrambi”.
Infatti, il 95% delle decisioni di noi consumatori è influenzato da processi irrazionali.
In particolare, il Cervello Rettiliano sarebbe il decisore finale!
Infatti la pubblicità attuale è sempre più indirizzata questo cervello, quello che risponde più velocemente agli stimoli, fornendogli contenuti adeguati, semplici e impattanti, che vadano a far leva sui nostri istinti.
Ad esempio, siamo attratti principalmente dalle cose che luccicano o che sono lucide, perché questa caratteristica è legata all’acqua, la quale va a soddisfare uno dei nostri bisogni primari:
non a caso, le lattine delle bevande sono di materiale lucido o gli schermi degli schermi di un PC hanno un riflesso che ricorda il luccichio del mare o di un ruscello.
Dal neuro-marketing alla neuro-politica
Anche in politica, le decisioni degli elettori sono in gran parte emotive.
Pertanto anche nelle campagne elettorali, il neuro-marketing è diventato un potente strumento disponibile per gli aspiranti governanti, che se ne servono al fine di ottenere il consenso di un numero sempre crescente di elettori, facendo appello alle emozioni. I dati della scienza politica sono chiari: le persone votano per il candidato che genera i giusti sentimenti, non il candidato che presenta i migliori ragionamenti.
Per ottenere consenso, un ruolo chiave giocano la semplicità e l’immediatezza del messaggio. Basti pensare agli slogan “Yes, We can!”, “Make America Great Again!”, “Prima gli italiani”, giusto per nominarne alcuni.
Negli Stati Uniti, nel 2016, il prestigioso Los Angeles Times e quasi tutti i media e le agenzie di sondaggi aveva previsto che Hillary Clinton avrebbe vinto con 352 voti elettorali.
Il risultato finale le assegnò solo 228 voti, contro i 279 di Donald Trump.
Questo calcolo era il frutto di uno studio che non teneva conto delle risposte emotive alla comunicazione semplice e immediata di Trump.
Con lo slogan Make America Great Again, Trump aveva richiamato un’epoca, quella della Grande America, che rievocava sensazioni piacevoli e riportava col pensiero all’America dei loro genitori, dove tutto era, almeno apparentemente, migliore, legando la propria immagine a quella sensazione.
Se prendiamo il tema dell’immigrazione, gli argomenti usati dalla Clinton descrivevano la proposta di riforma sull’immigrazione in 9 punti, tutti molto chiari e dettagliati. Questa contrastava con il messaggio di Trump sulla costruzione del muro, un’opzione emotiva immediata.
E questo, in una società in cui la soglia dell’attenzione è notevolmente diminuita e la competizione per ottenerla si gioca su pochi secondi, ha fatto la differenza.
Di fatto, progressisti e conservatori elaborano i propri legami sociali in maniere diverse: i primi hanno il senso di una connessione sociale più estesa (dagli amici al mondo nella sua interezza), i secondi quello di una connessione sociale più stretta e più salda (dalla famiglia alla nazione). Ad esempio chi agita lo spettro di un qualsiasi “nemico” (un vecchio ma efficacissimo trucco della propaganda) sta promuovendo istanze di destra.
E in Italia? La sfida digitale è stata raccolta dalle nostre forze politiche nel corso della campagna elettorale per le europee del 2018, in particolare dalla Lega, travolgendo completamente gli schemi comunicativi usati in precedenza.
Ogni discorso o argomento politico fu basato su emozioni come la paura, la speranza e il rifiuto, spostando le scelte politiche dal piano razionale alle emozioni.
Salvini saturò, come fece Obama nel 2012, televisione, rete, territorio, determinando il buon esito della sua competizione politico-elettorale.
Oggi, nel momento che (quasi) tutti si stanno orientando a parlare all’animale che è in noi, il rischio è che a vincere non sarà la persona migliore, ma piuttosto un venditore.
Alberto Aiuto
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