Vivere all’estero : Non è tutto oro quel che luccica

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VIVERE ALL’ESTERO E IL MONDO DIVENTATO PICCOLO

Studiare all’ estero, in Gran Bretagna o negli Usa, è sempre stato un sogno per tanti della mia generazione. I più fortunati tra noi sono riusciti ad andare all’estero per studiare un po’ di inglese o fare il master, dopo la laurea.

IL MIO PRIMO VIAGGIO A LONDRA

Ricordo il mio primo viaggio studio a Londra in un college. Era vicino all’aeroporto, me lo ricordo perché la sera si vedeva il Concorde dell’Air France che atterrava col naso abbassato.

Si chiamava casa col telefono a parete e una manciata di monetine. Giusto il tempo per dire sto bene tutto a posto. Il mangiare non era granché, anzi, non c’era la pasta però c’erano i fast food che in Italia non erano ancora arrivati. Per mangiare una bistecca vera ci volevano un sacco di soldi e per mettere sotto i denti un po’ di carne e proteine scoprimmo la cucina orientale, indiana ma anche cinese, che da noi ancora non esisteva. Gli italiani a quei tempi erano un po’ come emigranti culturali e se andava bene si imparava un po’ di inglese a patto di non andare con organizzazioni e amici italiani che vanificavano la spesa e la scomodità del soggiorno.

Io imparai qualcosa, tra lezioni in aula e coetanei stranieri, anche se i due italiani che erano con me bastarono a rendere la cosa meno utile del previsto e a farmi rientrare senza poter dire che parlavo veramente inglese.

IN VIAGGIO DA SOLO NEGLI USA DEGLI ANNI ‘70

La seconda volta che andai all’estero fu negli USA per una lunga vacanza estiva, da solo, ospite di amici italo americani dei miei genitori. Loro parlavano così male italiano, una sorta di ‘broccolino’, che tanto valeva provare a parlare inglese, anzi americano che non era proprio la stessa cosa.

La pronuncia il più delle volte era tremenda, io ero l’unico ospite straniero e in qualche modo dovevo farmi capire. I ragazzi della mia età erano simpatici ma mi guardavano come un marziano visto che non sapevano nemmeno dove fosse l’Italia sulla cartina geografica. Però a sedici anni avevano la patente e mi portarono in enormi centri commerciali, tipo quelli arrivati oggi da noi, in cinema con poltrone giganti e pop corn in secchi enormi.

Tutto era grande, le automobili, le bistecche, le pizze. Tutto era moderno.

Anche le distanze erano enormi e mi vengono in mente, ancora oggi, queste famiglie americane sparpagliate per un paese immenso, che si riunivano solo a Natale o il giorno del ringraziamento. Così diversi da noi e così lontani.

Io sentivo i miei una volta a settimana, telefonate velocissime dati i costi, con cui riuscivo a dire che stavo bene, che mi mancava casa e che non vedevo l’ora di tornare. Mi accorsi che stavo migliorando davvero quando iniziai a sognare in inglese e a rispondere alle telefonate dei miei pensando a cosa dire in una lingua che non era la mia. Fu dura, però imparai quello che so oggi e che mi ha permesso in seguito di lavorare all’estero senza grandi problemi, visto che le lingue sono un po’ come andare in bicicletta e una volta imparate non si dimenticano.

I NOSTRI FIGLI ALL’ ESTERO PER STUDIO E LAVORO

Oggi i nostri figli vanno all’estero più facilmente di noi. L’Europa aperta è una grande opportunità, la Gran Bretagna lo era ancor di più, almeno prima della Brexit e di una chiusura che costringerà nuovamente a tirare fuori il passaporto per raggiungere Londra. Parlare inglese è obbligatorio, il soggiorno all’estero è previsto fin dal liceo e considerato come altamente formativo anche se non tutti possono permetterselo. Però ci si può laureare direttamente oltre frontiera e acquisire titoli e nozioni prima irraggiungibili. I nostri ragazzi anche in viaggio restano connessi via web, ci possiamo parlare tutte le sere – a volte più di quando sono a casa – e tornano più spesso, visto che i voli costano molto meno. L’apprensione dei genitori non è cambiata ma la tecnologia ci fa sentire questi figli espatriati meno lontani e soffrire un po’ meno la loro mancanza.

I tempi sono cambiati e tanto. In tanti partono per studiare ma anche per lavorare all’estero. Sempre più spesso incontri un amico che ti dice “Mio figlio vive a Dublino”, un altro “Mia figlia è a Londra da due anni”, un altro ancora “Il mio sta a Parigi”.

FAMIGLIE SPARPAGLIATE PER IL MONDO

Se ripenso a noi, poveri migranti culturali degli anni ’70, vedo questi giovani avanti anni luce, tecnologici, preparati, abituati al cambiamento. Loro partono guardando avanti a volte per scelta a volte perché sono obbligati a farlo. Per noi, invece, uno dei momenti più belli di questi viaggi era il ritorno, ritrovare le famiglie, casa nostra, gli amici e sapere che il viaggio non aveva un biglietto di sola andata, che c’era un ritorno e anche a breve scadenza.

Oggi i ragazzi – e sono tanti – che se ne vanno così, tra necessità e passione, si sparpagliano per l’Europa e il mondo. Mi chiedo se sono veramente felici e se lo siamo anche noi genitori così internazionali, globalizzati, moderni. In questa, come in tante altre cose, siamo diventati come gli americani che ho visto io tanti anni fa, moderni, tecnologicamente avanzati ed evoluti ma divisi dalle distanze e dalla vita.

Claudio Razeto

Tempo di lettura: 1′ 40”

 

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