Il dialetto, una preziosa risorsa culturale che ci riallaccia alle nostre radici storiche.

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E’ possibile contare con esattezza il numero di dialetti parlati in Italia? La risposta è no. Il numero di varianti tra aree geografiche -anche limitrofe- rendono impossibile una stima accurata. Le differenze tra dialetti anche simili sussistono a vari livelli:

Tuttavia è possibile considerare dei cluster linguistici su base regionale.

La cosa interessante è che a questi cluster linguistici corrispondono all’incirca le stesse varietà di registri impiegati nei diversi teatri dialettali.

Il Verismo del teatro dialettale

L’origine del teatro dialettale viene fatta risalire a Goldoni che, abbandonate le maschere della commedia dell’arte, faceva recitare i propri attori in veneziano. Questo espediente consentiva una più realistica rappresentazione degli usi e dei costumi popolari. Pur nascendo in seno ad un contesto geografico ben definito, il teatro dialettale spesso infrange il muro della singole località d’origine e diviene fenomeno nazionale. Esisteranno allora tanti teatri dialettali quante sono le diverse realtà da raccontare di un’Italia ancor oggi frammentata.

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Comunemente si considera Eduardo Scarpetta il padre del teatro dialettale moderno. Scriveva in dialetto napoletano ma è con De Filippo che i modi e le espressioni partenopee varcano i confini regionali, ridefinendo gli standard italiani nel teatro di commedia.

Celebri, poi, sono i casi di Meli e Pirandello, capostipiti di un filone neorealista teatrale scritto e pensato in siciliano. Le opere più note di Pirandello furono tradotte in italiano solo successivamente (da Liolà a Il berretto a sonagli, da La patente a Pensaci, Giacomino! ).

Esistono altri noti esempi, poi, di teatro dialettale sparsi lungo il “Bel Paese”:

  • Gilberto Govi, che negli anni della prima guerra mondiale operava in genovese, nonostante l’esplicito divieto dell’Accademia filodrammatica.
  • Macario, da molti considerato il primo grande comico italiano di tv, cinema e teatro con gag fieramente in dialetto piemontese.

  • Alfredo Testoni, autore bolognese de “Il cardinale Lambertini”, reso celebre dal film degli anni ’60 con Gino Cervi.

Un discorso a parte andrebbe fatto per Dario Fo. Il grande drammaturgo lombardo non si era limitato solo a giullarate e tirate satiriche nel proprio dialetto.

Con la tecnica del grammelot aveva del tutto reinventato uno stile che, partendo dal suono dialettale e dall’onomatopea, permetteva di ricostruire un’esperienza immaginifica e narrativamente visionaria.

Il rapporto di Fo con i dialetti è qualcosa di viscerale e assolutamente profondo, per sua stessa ammissione:

“[…] quando imparate un testo cercate di ritradurvelo prima con parole vostre, e poi nel vostro dialetto, se ne avete uno. E’ una grande sfortuna per un attore non possedere un dialetto come fondo alla propria recitazione. Ho conosciuto attori che ne erano privi: dicevano le battute proiettando fonemi piatti, asettici, e senza nessuna musicalità nei toni e nelle cadenze

Simone Buffa

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