La gravidanza lunga e difficile del farmaco 

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di Alberto Aiuto

Attualmente un nuovo farmaco arriva sullo scaffale del farmacista dopo 12-15 anni di sperimentazioni ed investimenti di 2-3 miliardi di dollari.

Fin dalla preistoria, l’uomo ha percepito, sia per esperienza diretta che osservando il comportamento e le reazioni degli animali, che in natura esistevano sostanze (vegetali o animali) capaci di provocare danni o benefici per la sua salute.

Ippocrate, considerato il padre della medicina, nel 400 aC, indicava con il termine pharmakon sia una sostanza tossica che un medicamento.

Oggi, le cose sono cambiate:

Sono necessari una lunga serie di studi sperimentali, che richiedono il lavoro sinergico di numerosi esperti in settori anche molto differenti tra di loro:

  • farmacologi,
  • chimici specializzati in sintesi,
  • clinici,
  • biologi molecolari,
  • esperti di regolamentazione e normative,
  • statistici,
  • biochimici,
  • bioinformatici,
  • etc…

In media, la durata totale del processo di autorizzazione in commercio di un farmaco può arrivare a 15 anni, durante i quali vengono investiti alcuni miliardi di dollari, a carico del “proprietario” del farmaco (il più delle volte un’industria farmaceutica).

La ricerca si articola in due stadi successivi: la sperimentazione preclinica (dura 3-5 anni) e la sperimentazione clinica (dura altri 7-10 anni).

Si parte valutando la sostanza su colture cellulari o microrganismi per valutarne i potenziali effetti terapeutici; successivamente si passa alla sperimentazione sull’animale.

Questa fase è indispensabile per confermare l’efficacia del farmaco, valutare come viene assorbito, modificato ed eliminato e come somministrarlo. Inoltre, essa permette di osservare qual è la sua tossicità su un organismo vivente complesso, per escludere gravi effetti collaterali, a breve o a lungo termine, o a carico delle generazioni future.

È la fase più critica, che stronca sul nascere numerosi candidati: in media, per scoprire una nuova molecola da poter usare per trattare o curare una malattia, sono sottoposte a screening tra 5.000 e 10.000 sostanze.

Altro che “uno su mille ce la fa”, come cantava Gianni Morandi!

Solo se la sostanza dimostra un potenziale effetto terapeutico e un livello di tossicità accettabile si passa alla sperimentazione clinica, costituita da tre fasi, distinte e sequenziali.

Nelle prime due si ricerca la massima dose tollerata e la minima dose efficace, in genere su poche centinaia di persone.

Nella Fase 3, vengono valutate su migliaia di soggetti l’efficacia e la sicurezza della molecola rispetto a un placebo, un altro farmaco o a nessun trattamento.

Ovviamente, in ognuna di queste fasi, il farmaco può fallire e quindi si interrompe la sperimentazione.

Ad esempio, lo scorso marzo sono stati sospesi due studi in fase avanzata su un farmaco per l’Alzheimer, dal momento che dall’analisi dei risultati erano emersi dati deludenti (recentemente si è capito che è necessario un dosaggio maggiore per rallentare la progressione del declino cognitivo nei pazienti affetti da Alzheimer, e gli studi sono stati ripresi).

Alla fine viene richiesta l’autorizzazione alla immissione in commercio (AIC) alle autorità competenti:

  • L’AIFA in Italia;
  • L’EMA in Europa;
  • La FDA negli USA.

Una casa farmaceutica può godere dell’uso esclusivo del brevetto per un periodo limitato (in Italia sono 25 anni), dopodiché il brevetto decade, la molecola diventa pubblica e utilizzabile da qualunque altra azienda.

Il farmaco diventa così un equivalente (o generico). L’azienda ha quindi circa 10 anni di tempo per rientrare dell’investimento.

Ma non è finita. Una volta sul mercato, parte la “Fase 4”, detta anche “sorveglianza post-marketing”, per scoprire eventuali reazioni avverse durante l’uso massiccio del farmaco.

Gran parte delle conquiste ottenute, in termini di miglioramento della durata e qualità di vita sono riferibili a questo formidabile strumento di salute: dobbiamo però evitare l’illusione di avere farmaci miracolosi capaci di curare ogni malattia.

Il principio di Ippocrate “prevenire è meglio che curare” è sempre valido.

Alberto Aiuto

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