La buona e vecchia stretta di mano

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di Gaetano Buompane

Non ricordo più quando è stata l’ultima volta che ho stretto la mano a qualcuno.

Non è che sia un gesto a me particolarmente caro, e che quindi mi manchi, ma dopo questo lunghissimo tempo di distanziamento sociale va a finire che a certe cose ci si pensa.

C’è chi sostiene che in un prossimo futuro non sarà più così immediato stendere la mano per presentarsi e, per contro, non sarà particolarmente strano chi, salutando, si terrà a debita distanza e con le mani sprofondate nelle tasche. Dovremmo, cioè, essere aperti a nuove forme di saluto e interpretarle in base alle diverse persone che incontreremo.

Nella cultura occidentale potrebbero entrare con forza gesti che sono tipici dei popoli orientali e asiatici, come il namasté, con le mani giunte e un leggero inchino, o quello propriamente cinese di appoggiare il palmo della mano sulle nocche dell’altra. Un cambiamento nei costumi sociali avverrà sicuramente, staremo a vedere quanto sarà profondo e quanto saremo in grado di accettarlo.

Quello di incontrarsi stringendosi la mano era un momento consueto, tra l’altro di antichissime origini, carico di significati. La forma più diffusa e riconosciuta per introdursi ad altre persone, rappacificarsi, sigillare un accordo. Fa parte della simbologia cristiana che invita a scambiarsi un segno di pace proprio con una stretta di mano.

Davvero difficile pensare che un gesto così radicato nella nostra cultura millenaria possa scomparire. È più facile che alla fine dell’emergenza, e lo scopriremo tra poco con la maggior parte dell’Italia in zona bianca, diventi insieme all’abbracciarsi, il simbolo della rinascita, caricandosi così di un nuovo significato.

Fatto sta che prima stringevamo mani in continuazione e i misofobi ci facevano ridere. Oggi ci sono moltissime persone che entrano in panico se non hanno a portata di mano un po’ di alcool in gel e al solo pensiero di sfiorare un altro essere umano inorridiscono.

La prima solenne strette di mano di cui siamo a conoscenza avvenne nel IX secolo a.C tra il re assiro Salmanassar III e un comandante babilonese. Da lì in poi, testimonianze di ogni tipo, ma soprattutto fotografie, hanno reso storiche moltissime strette di mano, soprattutto per la potenza simbolica che hanno rappresentato, come quelle tra Ronald Reagan e Michail Gorbačëv nel contesto della Guerra Fredda o quella tra Yitzhak Rabin e Yāsser ʿArafāt durante gli accordi di Oslo del 1993.

Sì va bene, direte voi, sarebbe bello se ogni stretta di mano sancisse un’intesa storica. Si sa che quelle dita, già il giorno dopo, si sono spesso chiuse a pugno.

E infatti a ben guardare, nell’antica Roma, il dextrarum iunctio, e cioè “congiungere le (mani) destre”, era uno scambio di pace legato ad una reale diffidenza, ossia verificare se quella mano stringesse un’arma. Era costume anche stringere l’avambraccio dell’interlocutore, tanto per togliersi ogni dubbio circa la presenza di pugnali nascosti nelle maniche. Come dire, fidarsi è bene, non fidarsi è ancora meglio.

Per quanto mi riguarda a me va benissimo anche il saluto vulcaniano di Star Trek, mi eviterà di incappare in chi offre l’orrifica stretta di mano a pesce morto.

 

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Foto da Pixabay

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