Spreco d’acqua: Così cresce il business

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di Roberto Bitelli

Il problema della dispersione idrica in Italia è significativo. Secondo i dati, il 42,4% dell’acqua prodotta viene persa prima di arrivare al consumatore, una cifra che sale oltre il 50% nelle regioni del Mezzogiorno.

Questo rappresenta un serio problema infrastrutturale, che sembra peggiorare di anno in anno.

Nonostante questo, la spesa pro capite per l’acqua è aumentata del 6,8% negli ultimi 10 anni, a fronte di un servizio che, dal punto di vista dell’efficienza, non migliora il problema dello spreco d’acqua.

Con operatori troppo piccoli gli investimenti non bastano
Ma stanno lentamente crescendo

Spreco di Acqua
Fonte: Istat, 2022 e Ambrosetti

La gestione della rete idrica italiana rappresenta un problema strutturale e critico, come evidenziano i dati.

Circa il 42,4% dell’acqua immessa nella rete idrica italiana viene disperso, un valore allarmante se confrontato con la media europea, che si attesta al 25%.

 

Questo significa che quasi la metà dell’acqua trattata, pompata e distribuita non raggiunge i consumatori finali a causa di perdite lungo la rete.

Queste perdite sono dovute a una combinazione di fattori:

  1. Obsolescenza delle infrastrutture: molte reti idriche italiane sono vecchie, con tubature e impianti spesso risalenti a decenni fa e che necessitano di sostituzioni o ammodernamenti.
  2. Scarsa manutenzione: l’assenza di investimenti adeguati al monitoraggio e la riparazione delle perdite contribuisce all’inefficienza del sistema.
  3. Disparità regionali: esistono differenze significative tra le regioni italiane, con alcune aree del Sud che registrano tassi di dispersione molto più elevati rispetto al Nord.

L’impatto di queste inefficienze è considerevole non solo in termini economici, ma anche ambientali, soprattutto in un momento in cui la disponibilità di risorse idriche è messa sotto pressione dai cambiamenti climatici.

Affrontare questo problema richiede un approccio sistemico che includa investimenti in nuove tecnologie, come i sensori per individuare le perdite, e l’adozione di soluzioni sostenibili per la gestione dell’acqua.

Spreco d’acqua: Dove sono le perdite maggiori:

Il tema delle perdite idriche in Italia, particolarmente accentuato nel Mezzogiorno, è un problema di grande rilevanza e complessità.

I dati riportati sottolineano una situazione allarmante, in cui regioni come Basilicata, Abruzzo, Molise, Sicilia e Sardegna registrano perdite d’acqua superiori al 50%.

Queste regioni, sebbene producano più acqua rispetto alla media nazionale, ne utilizzano una quantità significativamente inferiore a causa di perdite durante la distribuzione.

In particolare, l’Abruzzo, con i suoi corsi d’acqua montani, produce 545 litri di acqua al giorno per abitante, ma solo 205 litri arrivano effettivamente agli utenti finali, con una perdita del 62,5%.

La Basilicata detiene il record negativo, con perdite pari al 65,5%, seguita da Molise (53,9%), Sardegna (52,8%) e Sicilia (51,6%).

Al contrario, le regioni più efficienti nella gestione della risorsa idrica sono l’Alto Adige, con perdite del 28,8%, l’Emilia-Romagna e la Valle d’Aosta, entrambe con valori appena inferiori al 30%.

Nel 2022, l’Italia ha prelevato circa 9,1 miliardi di metri cubi d’acqua per uso potabile, ma ne ha immessi in rete solo 8 miliardi, pari a 371 litri giornalieri pro capite.

Tuttavia, a causa di perdite del 42,4% dovute a prelievi non autorizzati e falle nel sistema di distribuzione, soltanto 214 litri arrivano effettivamente agli utenti.

Questo significa che una quantità d’acqua tale da dissetare 43,4 milioni di persone per un anno viene sprecata.

La situazione, già critica, è peggiorata negli ultimi anni.

Nel 2012, le perdite erano del 37,4%, mentre nel 2022 sono salite al 42,4%.

Se si confrontano i dati con il 2008, si nota un deterioramento ancora maggiore, con un incremento delle perdite dal 32,1% a valori che, in alcune regioni del Sud, oggi superano il 50%.

Questo quadro evidenzia l’urgenza di interventi mirati per il miglioramento dell’infrastruttura idrica, con particolare attenzione al Sud Italia, dove la dispersione della risorsa è massima e i danni al sistema di approvvigionamento sono evidenti.

Spreco d’acqua: Crescono gli investimenti nel settore idrico

Spreco di Acqua La gestione delle risorse idriche in Italia è stata caratterizzata da problemi significativi negli ultimi anni, che hanno portato a una serie di interventi per migliorare la situazione.

 

Uno dei principali effetti di questa crisi è stato l’aumento degli investimenti nel settore idrico, accompagnato da un incremento della spesa pro capite per l’acqua potabile.

In un periodo di dieci anni, la spesa è aumentata da 31,3 a 64 euro per abitante, con un’accelerazione particolare tra il 2017 e il 2022.

Si stima che nel 2023 la spesa abbia raggiunto i 70 euro pro capite, portandosi sempre più vicina alla media europea.

Un’altra tendenza importante riguarda la riduzione del numero di operatori che gestiscono direttamente il servizio idrico.

Dal 2016 al 2022, i comuni che gestivano il servizio in proprio sono scesi da 2.098 a 1.465, e si prevede una ulteriore concentrazione verso gestori unici di area, come previsto dalla normativa.

Secondo alcuni analisti, tra cui Arthur D Little, la soluzione ottimale sarebbe quella di ridurre il numero di operatori a circa 65 grandi soggetti, molti dei quali saranno probabilmente privati o società a capitale misto pubblico-privato, aprendo anche opportunità per investimenti in questo settore.

Il settore idrico riceverà ulteriore supporto grazie ai fondi del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), con 5,4 miliardi di euro destinati a risolvere l’emergenza idrica, rafforzando così l’attrattività del settore per gli investitori.

La questione non riguarda solo l’Italia, ma l’intero scenario globale.

Le Nazioni Unite stimano che per raggiungere l’obiettivo di garantire l’accesso universale all’acqua potabile e a strutture igienico-sanitarie adeguate, sarà necessario mobilitare mille miliardi di dollari all’anno, con un ruolo crescente per gli investimenti privati.

Uno degli aspetti emergenti del business dell’acqua è legato al riuso delle acque depurate, che secondo le previsioni di Bluefields Research vedrà un aumento degli investimenti del 16,82% entro il 2030.

In questo contesto, le grandi imprese avranno un ruolo centrale, come testimoniato dall’andamento dello S&P Global Water Index, che monitora le performance di 100 aziende globali attive nella distribuzione e nelle infrastrutture idriche.

L’indice ha registrato un ritorno decennale medio del 9,76%, superiore a molti altri indici settoriali, come lo S&P Global Oil (1,61%) e lo S&P Global Clean Energy (3,83%), confermando così l’attrattività del settore idrico per gli investitori.

In definitiva, la gestione delle risorse idriche rappresenta non solo una sfida ambientale e sociale, ma anche un’opportunità significativa per gli investitori, con prospettive di crescita sostenute dalla necessità di affrontare le emergenze climatiche e infrastrutturali.

Spreco d’acqua: I gestori più piccoli hanno investito pochissimo

L’Italia soffre di una cronica inefficienza nella gestione delle risorse idriche, che è particolarmente evidente nel Mezzogiorno e nelle Isole.

Questa situazione è frutto di un’eredità strutturale caratterizzata dalla frammentazione della gestione idrica:

Ben 1.465 comuni gestiscono direttamente la propria rete idrica, spesso senza disporre delle risorse necessarie per effettuare gli investimenti richiesti per modernizzare le infrastrutture.

La gestione delle risorse idriche dovrebbe essere affidata, per legge, a un unico gestore per ciascuno dei 93 bacini di affidamento presenti in Italia, ma in molti casi questo non avviene.

Sebbene in 88 bacini le risorse siano state assegnate a un gestore, spesso esistono più operatori che si occupano di aspetti diversi, come accade in regioni come Emilia-Romagna, Marche, Piemonte e Veneto.

La situazione è ancora più grave nei 5 bacini non affidati, tutti situati nel Mezzogiorno, dove la frammentazione persiste.

Questo sistema frammentato comporta investimenti molto limitati da parte dei comuni che gestiscono autonomamente le risorse idriche.

Nel 2022, i comuni hanno investito solo 11 euro per abitante (9 al Sud e 7 nelle Isole).

Una cifra esigua se confrontata con i 64 euro per abitante investiti dai gestori idrici industriali italiani, che sono comunque inferiori alla media europea di 82 euro per abitante.

Paesi come Germania, Regno Unito e Danimarca, investono molto di più, con cifre che variano dai 92 ai 179 euro per abitante.

L’insufficienza degli investimenti porta a una rete idrica obsoleta e a perdite elevate.

Ciò si traduce in una carenza di acqua, particolarmente acuta durante l’estate nel Sud Italia e nelle isole come la Sicilia.

Questa situazione richiede investimenti significativi e una riorganizzazione della gestione, per garantire un approvvigionamento idrico più efficiente e sicuro.

Spreco d’acqua: Gli operatori industriali sono più produttivi

La capacità di investimento delle aziende dipenda fortemente dalle loro dimensioni.

Le società più grandi, con un fatturato superiore a 50 milioni di euro, sono in grado di investire maggiormente, con una media di 60 euro per abitante nel 2021

Mentre quelle più piccole, con ricavi inferiori a 10 milioni, hanno investito solo 32 euro per abitante.

Questa differenza è attribuita non solo alla maggiore capacità finanziaria, ma anche a una migliore pianificazione strategica e a una produttività più elevata.

Infatti, le aziende che servono un bacino di oltre 250.000 abitanti generano un valore aggiunto per dipendente di 194.500 euro (dati 2022);

Quasi il doppio rispetto ai 107.000 euro delle società che operano in aree con meno di 50.000 abitanti.

Le imprese che investono di più sono quelle di dimensioni maggiori, specialmente se quotate in Borsa o con una struttura azionaria mista pubblico-privata.

Gli investimenti che oscillano tra i 58 e i 60 euro per abitante.

Le società “in house”, invece, legate alle amministrazioni locali, investono meno, con una media di 51 euro per abitante.

Questo conferma che la grandezza dell’azienda influenza notevolmente la capacità di sostenere investimenti importanti e strategici.

Roberto Bitelli

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Fonte: https://finecobank.com

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