Alle volte certe scoperte arrivano così, senza preavviso. Un fulmine a ciel sereno.
Prendete uno come me, ad esempio. Ho vissuto per più di quarant’anni pensando di essere nel giusto, coltivando le mie proprie certezze, vivendo secondo precisi princìpi che mi sono stati tramandati dai miei genitori e, improvvisamente, da un giorno ad un altro, sono stato costretto a dover mettere tutto in discussione, ad iniziare una faticosa e sconvolgente opera di riflessione su quello che è stato e ciò che sarà nel futuro.
Riuscite a capire il dramma? Riuscite a immaginare che razza di scombussolamento nella vita di un uomo?
Mi sembra il minimo se poi si cambia di umore, ci si isola, si perde interesse per determinate cose che prima erano al centro della nostra vita. Persino chi ci sta intorno nota delle differenze e inizia a guardarci con occhi diversi.
Si arriva ad un punto tale in cui è davvero difficile nascondere che qualcosa sia definitivamente cambiato.
Guardate, qui non stiamo parlando di mollare tutto e cercare un nuovo lavoro, oppure di piantare baracca e burattini e trasferirsi altrove, che pur sono dei grossi stravolgimenti nella vita di una persona.
Si tratta di qualcosa di più profondo e straordinario che muta la nostra visione del mondo e il rapporto, anche intimo, con le altre persone.
In definitiva si tratta della scoperta di se stessi, di aprire le pagine del nostro cuore e iniziare a leggerci dentro.
Quando accade, quando questa nuova percezione si manifesta, non serve a niente cercare di bloccarla, di porle un freno.
È l’inizio di un processo di auto consapevolezza, più o meno doloroso, che porta a riconoscere e ad accettare sempre di più la nostra identità.
Io ho tentato di ribellarmi, di oppormi, di aggrapparmi a quel marchio culturale che mi nascondeva all’interno di una bolla.
Ma sono scivolato sempre più nell’ipocrisia fino a provare vergogna di me stesso.
Alla fine ho deciso di accettare quello che sono al di là degli schemi culturali e sociali che ho seguito per tutta la mia vita.
Per sentirmi davvero libero ho dovuto far esplodere quella bolla, rendermi finalmente conto che ci sono mille altri modi di concepire lo scorrere del tempo, di stare al mondo, di fluire nelle vene dell’esistenza umana.
Ho scoperto, con la forza di una folgore, le auto col cambio automatico. Mentre la mia macchina è dal meccanico mio cognato, che è in viaggio, mi ha prestato la sua. E adesso io sento che non potrò più farne a meno.
Trovo qualsiasi scusa per uscire di casa. Salgo in auto, posiziono il cambio sulla D e mi tuffo nel traffico con rinnovata naturalezza e col sorriso sulle labbra.
Ma voglio dirvi una cosa, voi integralisti del cambio manuale, virili con la 6a marcia, piloti della domenica. Credete che mi senta meno uomo solo per il fatto di non voler comandare lo sforzo del motore? Per aver rinunciato a frustare la potenza dei cavalli?
Vi sbagliate di grosso. E seppur mi sia sentito smarrito per alcune ore, sicuro di non potercela fare, alla fine ho ripreso in mano la mia vita.
Ho liberato il mio piede sinistro dalla schiavitù del lavoro logorante sul pedale della frizione, soprattutto nelle ore di traffico intenso, e ritrovato, finalmente, il piacere rassicurante di stringere sempre il volante con entrambe le mani.
Mi sento finalmente me stesso, libero di esprimere tutta la mia personalità.
Senza timori, con fierezza, confesso di essere un uomo pacato, che ama rilassarsi, anche alla guida. Amo viaggiare comodamente e senza stress, principalmente negli imbottigliamenti più drammatici e, soprattutto, non voglio più sentirmi frustrato quando, pronti-via, la macchina mi muore sotto il sedere allo scattare del semaforo verde.
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