La mia ottusa ricerca dell’uomo vero mi ha spinto fino in Scandinavia, precisamente in Norvegia.
Sceso con un certo timore all’aeroporto di Oslo ho immaginato di trovare orde di vichinghi agguerriti, pronti a respingere lo straniero macilento, fiaccato dal mal di testa da cervicale e dalle circa tre ore di volo low cost.
Invece ad accogliermi è stato un bel sole pomeridiano, una temperatura perfetta di 24 gradi centigradi e un’insolita calma e fluidità che mi hanno aiutato immediatamente a far rilassare i muscoli lombari.
La prima cosa che si nota è quanto il drastico passaggio all’elettrico abbia influito positivamente nell’abbattimento dell’inquinamento acustico delle città.
Nonostante il Paese sia uno dei maggiori esportatori di petrolio e gas d’Europa, si calcola che già nel 2020 la Norvegia avesse raggiunto la soglia del 70% delle vendita delle auto elettriche proiettandosi di diritto al vertice delle nazioni più green del mondo.
Anche se l’opinione pubblica è nel pieno di un aspro dibattito tra continuare l’esplorazione petrolifera o passare definitivamente alle rinnovabili, è innegabile che il “popolo vichingo” ci tenga particolarmente al rispetto della natura. Lo si vede ovunque, dalle infinite distese di boschi, al placido e azzurro mare dei fiordi, ma soprattutto dall’ordine e dalla pulizia delle strade così come dalla metodica e capillare raccolta differenziata dei rifiuti.
Il vero uomo non può che essere ecologista e rispettoso del mondo in cui vive. E che nella cultura Norvegese il retaggio della vita vichinga a contatto con la natura e in simbiosi con essa sia ancora molto presente nella società moderna, è molto evidente.
Ai bambini viene insegnato fin dai primissimi anni a sapersela cavare, a dover affrontare i pericoli e le avversità della natura. Anche nei mesi invernali, con temperature rigide e neve alta, le escursioni delle scolaresche sono molto comuni e le mamme si attrezzano con grandi sacchi della spazzatura nei quali infilare i propri figli infangati e bagnati prima di caricarli in macchina e riportarli a casa.
C’è un detto in Norvegia che recita più o meno così: “Non esiste il cattivo tempo per uscire di casa, esistono i vestiti sbagliati”.
Ed è più che normale. Nei lunghi inverni del nord, quando le temperature sono costantemente sotto zero e il sole spunta solo per poche ore al giorno, se tutto si dovesse fermare sarebbe la catastrofe. Nei mesi più rigidi, quando i fiordi gelano, chi vive sulle coste è svegliato dal rumore del ghiaccio rotto dalla prua delle navi.
Qui l’uomo vero, e la donna vera, hanno la scorza dura, non si spaventano di niente.
Anche se le famiglie norvegesi sono estremamente riservate e raramente aprono le porte delle loro case per invitarti a bere un caffè e fare due chiacchiere, la Norvegia è una terra di conquista culturale.
Il cibo, ad esempio, ha subito l’influenza delle numerose comunità straniere, prevalentemente musulmane, ma anche est europee e latino americane. Il venerdì è davvero difficile sfuggire da quella che è ormai diventata una tradizione, ingozzarsi di tacos, e nel fine settimana, quasi sempre, dalle cucine arriva l’odore del kebab.
La Norvegia è quella che si può considerare una vera Democrazia. Non esiste un vero e proprio disequilibrio sociale e, nonostante qualche rigurgito tradizionalista, la società è votata all’accoglienza e alla tolleranza.
Eppure, quello che poi alla fine non ho davvero incontrato è il vero uomo vichingo, quello muscoloso, dal volto fiero, vestito di pelli di renna e con l’elmetto con le corna.
L’ho cercato nella commistione di antico e moderno dell’architettura di Oslo, sul tetto in marmo di Carrara della Opera House, fra le sculture giganti del Vigelandsparken, fra le strade del quartiere Hammersborg.
L’impressione che ho avuto è che sia fuggito alla vista dei negozi di souvenir e che si stia nascondendo, forse proprio tra quei boschi sconfinati o in qualche fiordo sperduto dell’estremo nord. Probabilmente aspettando tempi migliori, continuando a forgiare il fisico e a temprare la mente sotto la protezione del dio Thor, personificazione del fulmine e protettore dell’Umanitá, per una guerra ancora più aspra di quella che stiamo combattendo oggi.
Noi comuni mortali siamo ancora sopraffatti dagli eventi, come l’uomo de L’urlo di Edvard Munch, inchiodati alle nostre vite in un sordo grido di disperazione.
Eppure il sorgere del sole sul fiordo, al quale ho assistito anche io a bocca aperta, è stato di uno splendore unico, forse irripetibile.
Avrei voluto fotografarlo, registrarlo sul cellulare per poi mostrarlo a tutti, condividerlo.
Fortunatamente ero rimasto senza batteria e quindi rimarrà per sempre solo un momento mio, registrato negli occhi della mia memoria.
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