Mia amata moto
E basta, alla fine ho venduto la moto. Eh, sì.
Mi dava sempre problemi, ormai, negli ultimi mesi. Non è stato facile sbarazzarsene, devo ammetterlo. Abbiamo vissuto grandi momenti insieme. Dannazione. Ma ci sono cose che un uomo deve fare. In barba ai sentimentalismi, dignità prima di ogni cosa.
La moto, dicevo, non funzionava più come prima. All’inizio, come spesso accade, non dava mai problemi. Ero sempre con lei. Ne abbiamo vissute moltissime, insieme. Era una continua avventura, una costante scoperta.
Eravamo inseparabili. Stavo sempre su di lei, la cavalcavo e lei si faceva guidare da me. La domavo, con pazienza e dedizione. Già, perché all’inizio era difficile, va ammesso. Bisognava conoscersi reciprocamente. Ma poi il premio: il piacere della guida. E lei, la moto, mi restituiva la gioia di un ruggito selvaggio, graffiante.
Andavamo ovunque insieme e mi beavo di mostrare a tutti la sua carrozzeria lucida e cromata. Aveva sempre addosso gli occhi languidi di tutti gli altri rider. Aveva un gran bel telaio, chi se lo dimentica. E in un certo senso, come dire, mi piaceva quasi che quel manipolo di centauri la guardassero con fare a dir poco indiscreto. E non senza qualche commento sulla grandezza dei suoi due cilindri. Eh! Questo perché sapevo che, comunque sia, la mia moto avrebbe corso solo con me.
Quel cardano sarebbe stato solo mio.
E così lo facevamo ovunque: in campagna, al mare, persino in città in pieno giorno. Lunghe corse, che ci facevamo. A me faceva impazzire farlo in montagna perché piegava – e come se piegava! – così bene con tutte quelle dannate curve mozzafiato.
Poi, ahimè, il sogno piano piano svanì. Arrivò l’inverno e finii con l’usarla sempre meno. Un po’ mi spiace, ma ero anche preso da mille cose, il lavoro, il calcetto con gli amici.
Era un periodo così. Faceva freddo.
E meno tempo passavamo insieme, più lei ha cominciato a reagire in modo strano. Si ingolfava spesso, a volte non si accendeva bene. “Devi avere cura della sua batteria”, mi dicevano.
Avevano ragione.
L’inverno può essere terribile, talvolta, gelido riflesso di un’estate spensierata. E così vengono fuori i problemi: un bel giorno mi pianta in asso. E non riparte più.
Io mi preoccupo tantissimo. Chiamo un carro attrezzi e la porto d’urgenza dal meccanico di fiducia.
Passano i giorni.
A distanza di poco tempo dovetti tornarci in quell’officina. E poi ancora e ancora. Senza che me ne accorgessi, la moto passava più tempo dal meccanico che nel mio garage.
Il garage. Che pena vederlo tutt’oggi così vuoto…
Un giorno, non riuscendo a gestire l’attesa e l’orario indicatomi dal meccanico per il ritiro, cioè alle 18, mi presentai in officina con circa 20 minuti d’anticipo. Ero visibilmente in ansia.
Ero pronto al peggio, in cuor mio sapevo che non sarebbe durata ancora per molto. Ma quello che vidi, quel giorno, per caso, difficilmente avrei potuto immaginarlo.
La vidi lì, la moto, al centro assistenza.
Senza carena.
Poca luce, un neon che andava e veniva.
Lei, la moto, era fissata con argani, in un bagno d’olio, con il quadro completamente illuminato.
E poi c’era lui, quel meccanico, sudato, lercio di grasso fin dentro i punti più remoti della sua salopette jeans. Vestiva solo di quello. E brandiva in mano l’aggeggio per la misura dell’olio, ancora nel suo vano motore.
Musica nel podcast “If I Can’t Dance It’s Not My Revolution” by Quantum Jazz
https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0/
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