Intervista a Daniele Mencarelli: Tutto Chiede Salvezza

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di Fabio Bandiera

Grandissimo successo per la serie TV, targata Netflix, tratta dall’omonimo libro, premio strega giovani 2020, di Daniele Mencarelli, Tutto Chiede Salvezza.

Sette puntate ricche, ricchissime di spunti e di riflessioni su tematiche difficili e scottanti, trattate con garbo e intelligenza dagli sceneggiatori che hanno saputo riadattare le secche e taglienti pagine autobiografiche di Daniele donandogli quel tocco leggero e giustamente contemporaneo, frutto di un lavoro mirabile di sceneggiatura.

Una fiction che affronta senza se e senza ma la salute mentale nei suoi risvolti più crudi e reali, materiale prezioso messo a disposizione di una comunità di utenti chiamata a condividere le sorti di una banda di ragazzi alle prese con difficoltà ed una voglia di condividere il loro malessere.

Voci fuori dal coro in cerca di un ascolto spesso non recepito, un linguaggio aperto e non retorico che ha fatto breccia decretandone un indiscutibile boom di visioni condivise.

Abbiamo avuto il piacere di discuterne con lo scrittore Daniele Mencarelli.

Daniele buongiorno. La serie tv è stata indiscutibilmente un successo, frutto di un adattamento straordinario di un testo di partenza così intenso, vibrante e ricco di contenuti?

Si assolutamente, c’è a mio avviso a monte il desiderio di affrontare certe tematiche con la giusta complessità, quella che ci chiedono i nostri figli ai quali abbiamo spesso semplificato il mondo e la realtà.

Se non affrontata nella giusta maniera rischia di diventare un disagio o una zavorra con la quale sono poi costretti a convivere senza affrontarlo con i giusti anticorpi.

Ci viene chiesto un approccio più adulto e questa serie va proprio in questa direzione, il successo che sta avendo testimonia questo bisogno e questa richiesta alla quale, noi adulti, non possiamo e non dobbiamo sottrarci

Un altissimo quoziente di cruda realtà, molto diverso da una spesso affettata serialità italiana. Condividi questa analisi? E’ uno dei punti forti della serie?

Credo che questa sia una problematica irreversibile della narrazione in generale, un utilizzo di tutto ciò che è iper-derivativo contro chi pensa di poter scrivere in assenza di realtà perché ne ha paura.

Per me è vero il contrario, io temo chi si sottrae dalla realtà e credo fortemente che alcune vicende reali sono talmente originali da non poter essere raccontate e, come sosteneva Aristotele, si racconta il verosimile, non il vero.

Essere ancorato al reale è uno dei cardini della mia scrittura, quel teatro dove incontri storie che ti chiedono di essere raccontate e che, rispetto a tanti altri che non possono farlo, ho il privilegio di poter narrare.

Scrivere un libro e poi riadattarlo da sceneggiatore per la tv, differenze e metodologie di approccio?

In generale lo scrittore quando cede i diritti di una propria opera rischia seriamente di essere tradito, cosa lecita quando si riadatta un libro per immagini perché quando cambi linguaggio c’è sempre un’infedeltà di fondo.

Il passaggio da letteratura a scena impone delle modifiche, ma ho avuto la fortuna di trovare un regista, Francesco Bruni, che ha amato il libro e lo ha difeso a denti stretti con il quale ho lavorato in sinergia.

Anche nella messa in scena è stato bravo a riproporre quel quoziente di realtà senza scivolare nella retorica medietà di altre serie patinate ed edulcorate.

La malattia mentale e la diversità in generale sono ancora un tabù in questo Paese? Siamo ancora distanti da altre realtà nell’approcciare ed affrontare temi così complessi? Perché?

E’ senza dubbio un argomento non semplice da affrontare, le risacche di pregiudizio ancora esistono anche se paradossalmente esiste il rischio opposto, cioè quello di stigmatizzare anche ogni piccolo moto interiore e farlo diventare un campanello d’allarme.

Ho girato tanti luoghi dove alberga la malattia mentale, che esiste ci mancherebbe, ma è altrettanto vero che l’uomo nell’ultimo secolo ha disperso quel capitale che aveva a disposizione per parlare con se stesso in chiave analitica e non medica.

Quella valenza anche filosofica che fa dell’essere umano un grande interrogatore di sé e del mondo oggi rischiamo seriamente di perderla in nome della semplificazione rispetto alla complessità, l’inquietudine o il farsi delle domande non vuol dire per forza essere ansiosi o depressi.

La forza della parola e della letteratura, per te che sei un poeta e scrittore, quanto ti ha aiutato e ti aiuta tutt’oggi nel raccontare le tue storie? Confrontarsi in una sorta di consanguineità con poeti o scrittori vissuti anche molti secoli fa è una linfa vitale nella tua ricerca espressiva e comunicativa?

Certamente si. Nessuno nasce scrittore perché siamo innanzitutto lettori, nel mio caso la letteratura è stata una grande alleata nel percorso, mai finito, di conoscenza di me stesso e una grande molla per tutti gli aspetti della mia vita.

Oggi a 48 anni posso dire che se scrivo da oltre trent’anni lo devo a questa grande passione strutturale, sia da poeta che da scrittore di romanzi, che è stato per me anche un grande mezzo di difesa rispetto a chi si approcciava a me con grande superficialità, senza capire a fondo le ragioni delle mie inquietudini.

La letteratura è piena di dubbi, di incertezze, di possibilità insite nell’essere umano mentre oggi si tende a vivere solo di pseudo verità e certezze assolute.

Andrebbero condivise certe letture che sfuggono alle nuove generazioni iper digitali che avrebbero, rispetto a noi analogici, molti più spazi e strumenti per poterle approfondire, ma che di fatto non utilizzano perché ahimè mancano sia gli stimoli giusti che la curiosità.

Il rapporto tra il protagonista, Daniele, e gli altri ragazzi con cui si confronta in quei sette giorni è caratterizzato da numerose e viscerali sfaccettature. Avete scelto anche per questo un adattamento contemporaneo, con tanto di influencer, rispetto alla pagina scritta ambientata nel 1994? La fiction ha un tono volutamente più aperto e leggero, una scelta voluta in fase di riadattamento?

E’ stata giustamente voluta perché non ha senso in una serie tv che tratta di un fenomeno ancora vivo come il T.s.o. raccontare degli eventi al passato.

Andava attualizzato perché in questi ventotto anni è cambiato il mondo ed era naturale rivolgersi al pubblico di oggi con le giuste tipologie sociali legate soprattutto al web e ai social.

E’ ovvio che il vero Madonnina o il vero Gianluca non sono degli omologhi rispetto a quelli che ho conosciuto con me in stanza, si rischiava in tal senso di andare in una zona oscura non rappresentabile per immagini, la parola scritta e una serie tv come questa dovevano per forza di cose avere due linguaggi diversi.

Ringrazio il cast fantastico di attori e l’ottima regia di Francesco, se l’accoglienza critica è stata così plebiscitaria il merito è soprattutto loro.

So che sei spesso a contatto col mondo della scuola e degli adolescenti, o sbaglio? Che percezione hai di queste giovani generazioni in cui spesso si annidano i germi di problematiche trattenute ed irrisolte?

Ho girato tantissimo in questo periodo incontrando migliaia di ragazzi, dentro le scuole e in altri contesti.

Senza dubbio le giovani generazioni non vogliono per forza banalizzare, anzi quando si trovano davanti a quella complessità di cui parlavamo prima si mostrano interessati e pronti a condividere.

Bisogna coinvolgerli con i contenuti e renderli partecipi di certe tematiche che vanno affrontate senza tabù e senza quella paura che li allontana altrimenti, senza nessuna cattiveria, questo impoverimento iniziato con la mia generazione, vittima e carnefice del consumo, rischia di deflagrare nel caos esistenziale.

Sguardo sul futuro prossimo. Cosa bolle in pentola nel tuo 2023? Cosa dobbiamo aspettarci da Daniele Mencarelli? A gennaio un tuo testo andrà in scena al Teatro Parioli?

A gennaio uscirà un mio nuovo lavoro, un libro non autobiografico ma che continuerà questa testimonianza della realtà che a me sta molto a cuore con uno sguardo rivolto all’oggi, mentre lo spettacolo teatrale, dal titolo Agnello di Dio, in scena al Parioli dall’11 al 15 gennaio, è una pièce sempre rivolta al confronto generazionale.

La vicenda si svolge dentro un’aula di una Presidenza di un istituto paritario in cui una suora preside convoca padre e figlio in una resa dei conti in cui la rappresentazione del mondo degli adulti uscirà sonoramente sconfitta.

Un’ultima battuta sul neo Premio Strega per la Poesia che debutterà con la sua prima edizione al Colosseo. Un riconoscimento giusto e doveroso?

Si sono molto contento di questo nuovo premio perché tutto quello che può accendere interesse mediatico nei confronti del mondo della poesia non può che farle bene, parlarne in uno spazio ad hoc con tanto di rassegna e relativi premi credo che possa solamente giovare.

Poi sullo Strega se ne dicono tante, io che l’ho frequentato posso dirti con certezza che non è così fosco e torbido come viene rappresentato, questo è un male endemico di noi italiani che non sappiamo fare altro che denigrarci e infondere dubbi o sospetti su qualunque fatto o evento ci capiti intorno.

Sono stato recentemente all’estero e posso dirti che siamo molto più amati al di fuori dei nostri confini, abbiamo una ricchezza e un patrimonio culturale così vasto, di cui spesso non siamo consapevoli e che oggettivamente non ci meritiamo.

Fabio Bandiera

Tempo di lettura: 3’30”

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