La glaciazione demografica

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di Gaetano Buompane

Una delle prime cose che un genitore apprende appena i figli iniziano a camminare è che seguirli come un’ombra e avere cento occhi non sono misure sufficienti per tenerli fuori dai guai.

Non serve a niente poi colpevolizzarsi se non si è fatto in tempo ad afferrarli per evitare loro l’ennesima caduta.

L’importante è essere lì pronti ad aiutarli a rialzarsi, a consolarli se piangono, a dare una rapida pulita ai vestiti se si sono sporcati e, soprattutto, a non farsi prendere dal panico e correre al pronto soccorso se si sono spaccati la testa.

Essere genitori è un dramma, è una preoccupazione continua, un costante tenere a freno i nervi.

Mette a dura prova la pazienza, è sfiancante, ti fa perdere il sonno, eppure, per quanto incredibile possa essere, resta una delle esperienze più emozionanti della vita.

E badate bene, tale emozione non risiede solamente nell’ovvio, sebbene mai scontato, rapporto d’amore coi figli, ma anche nell’irrefrenabile sconvolgimento che si verifica nella vita di un uomo dal momento in cui in sala operatoria tagliano il cordone ombelicale e gli mettono in braccio il bambino.

Avviene come una sorta di ridimensionamento del proprio egocentrismo, per cui tutto ciò che prima era senza ombra di dubbio fondamentale, improvvisamente non lo è più così tanto.

Non si tratta di un semplice istinto paterno che ci porta ad essere protettivi e coccoloni dovuto all’abbassamento del testosterone.

Più che altro è il raggiungimento di una pace interiore, una evoluzione dell’esistenza che ci fa percepire per la prima volta che la nostra vita ha smesso di essere più importante di quella di un altro essere umano.

In altre parole, decidere di mettere al mondo un figlio significa accettare senza timori di sacrificargli la nostra vita.

Da uomo profondamente laico è il gesto più caritatevole che potessi compiere.

Ai recenti Stati Generali della Natalità, il pensiero di Papa Francesco è andato ai giovani e ai loro sogni di avere figli che si infrangono contro un “inverno demografico, freddo e buio”.

Una vera e propria glaciazione verrebbe da dire, visto che da molti anni il nostro Paese è il fanalino di coda in Europa per quanto riguarda il numero di nascite.

È ormai da tempo immemore che il fare o non fare figli non è più una scelta privata, quanto un fatto sociale, lo specchio di una economia che arranca, di una crisi politica che non si sbroglia, di un Paese privo di prospettive.

Il premier Draghi ha annunciato che il Governo si “sta impegnando su vari fronti” e l’assegno unico e universale per ogni figlio dovrebbe essere la prima spinta per una trasformazione epocale.

Ma l’Italia che vedo io non è fatta di giovani in difficoltà che sognano di avere figli, bensì di giovani estremamente individualisti che hanno perso ogni interesse verso i valori essenziali della vita.

Più che sul piano assistenzialistico, la sfida più grande dell’Italia dovrebbe essere affrontata sul piano culturale.

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