Proprio ieri, ma potrebbe essere un ieri qualunque, non è che fosse un ieri speciale, il giorno prima di oggi insomma, un oggi qualsiasi, è passata davanti ai miei occhi una macchina, di quelle col cassone dietro, che caricava una lavatrice.
L’avevano stretta con delle cinghie, a prima vista un lavoro ben fatto, da professionisti. Era una lavatrice usata, non di quelle appena uscite dal magazzino, impacchettata con la plastica trasparente e il polistirolo a protezione dei bordi, per intenderci.
Probabilmente si trattava di un piccolo trasloco, non di una consegna con bolla di accompagnamento. Chissà, forse un favore, un lavoretto extra a fine giornata, giusto per arrotondare un po’.
Lo dico perché non sembrava fosse la lavatrice dei due tipi che erano nell’abitacolo, sicuramente non di quello alla guida.
Noncurante degli avvallamenti e delle imperfezioni della stradina che corre proprio sotto a dove stavo io, che poi si inerpica su per la collina dopo una curvetta accentuata a sinistra, l’auto con la lavatrice è passata a velocità sostenuta. A meno di una eccessiva fretta nel voler tornare a casa per istallarla e fare un lavaggio dei panni sporchi, il proprietario della lavatrice che si fosse occupato di trasportarla, avrebbe sicuramente percorso la strada con più cautela, con la prima marcia, al massimo la seconda, stando attento a non farle prendere troppi colpi.
Ma chi può dirlo? direte voi, magari era un ferro vecchio e la stavano semplicemente portando via, ecco spiegato il poco interesse a scosse e sobbalzi.
Eh no! Perché per quella strada si arriva solo a delle abitazioni e che io sappia non vi sono né ferrovecchi né qualcuno che aggiusti elettrodomestici. Per di più, per tornare via l’unico modo e fare la strada in senso contrario. Doveva quindi essere quasi certamente una consegna.
Ma non è questo il centro della storia. A causa della velocità sostenuta e della curvetta accentuata a sinistra, il cassettino della lavatrice, in cui si versa il detersivo prima di avviare il ciclo del lavaggio, è volato via finendo sul bordo della strada in mezzo all’erba alta.
Istintivamente ho fatto un mezzo cenno con la mano – aspettate, avete perso un pezzo! – ma così abbozzato e insignificante che lo si sarebbe potuto benissimo scambiare per un leggero spasmo. Quando il mio corpo è tornato a rilassarsi, la macchina era già lontana e del fatto, ormai, se n’era già appropriata la Storia.
E qui arriviamo al punto, perché qualcosa in me, chissà quando, si deve essere spezzato. Voglio dire, in un’altra epoca, in in altro spazio temporale addirittura, non avrei perso tempo, sarei sceso a recuperare quel cassettino finito in mezzo all’erba e mi sarei adoperato per riconsegnarlo ai legittimi proprietari.
Il mio unico pensiero sarebbe stato quello di porre fine il prima possibile al loro disappunto di non poter fare un lavaggio quella sera stessa e di togliere dai guai i traslocatori poco accurati e, in definitiva, non proprio dei professionisti.
E invece ieri, un ieri qualunque dicevamo, non ho fatto niente, o meglio, ho preferito alimentare la possibilità che quel disappunto si trasformasse in irritazione e poi in disagio per andare alla ricerca di un cassettino che potesse sostituire quello perduto. Invece di agire ho lasciato affollare la mia testa di pensieri vuoti, senza ordine, che invogliano all’indolenza.
Prima di rientrare dentro, sono rimasto ad osservare ancora un po’ quella macchietta bianca tra l’erba folta, nella vana speranza che il vecchio Io si rifacesse vivo, che mi spronasse a prendere una decisione, ad alzare la testa e smetterla di pensare che le mie azioni non siano sufficienti per cambiare le cose della vita.
Quando oggi mi sono affacciato quel maledetto cassettino era ancora lì. Forse domani, un domani qualunque, un domani che sarà certamente più speciale di oggi, troverò la voglia di scendere per andare a toglierlo dall’erba alta.
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Foto da Pixabay





















