Qualche riflessione sui “nuovi” esami di maturità appena conclusi.
Già. T’avessi preso prima.
L’avranno pensato, i maturandi del 2019, alle prese con questo indimenticabile passaggio, magari la notte prima degli esami?
O, forse, l’avranno pensato dopo le prove?
Ricordo quando bambino neanche alle elementari, Rischia tutto cominciò nel 1970 a riempire i giovedì televisivi del primo canale Rai.
Mike Bongiorno, rivolgendosi ai concorrenti, chiedeva: “la uno, la due o la tre?”, in occasione del domandone finale, quello decisivo per diventare campioni.
La scelta, era tra tre buste.
Così, da quest’anno, si iniziavano gli orali degli esami di maturità.
In base all’argomento della busta, lo studente doveva poi sviluppare all’impronta una mappa di argomenti.
Se Rischiatutto, alla fine, era un gioco, e la fortuna, e anche il rischio erano la chiave di attrazione, anche per noi piccoli che arrivavamo eccezionalmente dopo Carosello, è lecito chiedersi:
“un esame che chiude un ciclo di studi di almeno cinque anni, può cominciare con un’estrazione, quindi con un dubbio, o anche la successiva, possibile, sensazione, circa l’essere stati più o meno fortunati?”
L’Uomo della strada, interrogato, risponderebbe con comune buon senso:
sarebbe meglio di no.
Poi, come a consolidare una scelta molto ponderata, questa estrazione era consentita, per par condicio, anche all’ultimo esaminando, anche lui sceglieva una busta di tre.
Par condicio?
Beh, con un sistema del genere era impossibile rispettare le più elementari regole del calcolo delle probabilità e la garanzia che tutti avessero, di fronte alla sorte, le medesime possibilità.
Sembrano cavilli, queste osservazioni, una volta appreso dai media il sondaggio di skuola.net che evidenziava come non poche commissioni, aum aum, abbiano fatto trapelare ai candidati i contenuti di tutte le buste, in modo che ragazze e ragazzi potessero prepararsi le mappe.
Altre, invece, sono state alle regole.
Insomma, le buste hanno introdotto l’elemento casuale e una ulteriore possibilità di generare, in modo più o meno trasparente, differenza di condizioni nello svolgimento di un esame di respiro nazionale.
Se ripensiamo come ogni anno, già costanti e noiose ci disturbano le solite notizie sui soliti punteggi finali mediamente diversi tra Centro Nord e Centro Sud, o i commenti (in particolare) sulle seconde prove scritte.
A volte terribilmente impegnative, altre volte piuttosto agevoli (ricordate la bicicletta con le ruote quadrate, allo scientifico, nel 2017?), il dado è tratto.
Questi esami, da tanti anni, rappresentano il Paese, dove coesistono la disciplina più ferrea insieme a grandi e pericolose indulgenze.
Il Paese dell’alfa e dell’omega, dei Torquemada e dei Don Abbondio, dove vanno a braccetto l’indulgenza eticamente negligente e l’indignazione più viva.
Per questa ragione, è importante che un esame di Stato sia giusto, non legato al caso, alle differenze dei comportamenti dei commissari.
Tra l’alfa e l’omega o tra il bianco e nero si muove infatti una serie di soluzioni ambigue, spesso affrettate e fatte tanto per, senza pensare alle conseguenze e soprattutto allo scopo di tutta la Scuola.
Pensiamo al decisionismo superficiale che ha riguardato il tema di storia:
Non era più semplice lasciare le cose come stavano?
Non era importante assegnare alla magistra vitae, la piena e oggettiva valenza che ha sempre avuto nella Scuola e per tutti gli indirizzi?
Era questa la priorità?
Poi, quest’anno, c’era uno scritto in meno e cambiavano le modalità di assegnare i punteggi, a partire dai crediti.
Al classico, la riduzione delle prove scritte ha portato a un nuovo esame, non più la sola versione di latino, ma anche quesiti (uno richiedeva una tesi di laurea) e un altro testo tradotto dal greco.
Ma non era meglio, allora, far sì che i quesiti fossero una terza prova, anziché farne una ibrida?
Inoltre, in generale, assegnare più crediti (fino a 40: troppi, da 25 che erano) e diminuire l’incidenza dell’orale (da trenta a venti) e degli scritti forse, dico forse, avrebbe dovuto riportare le commissioni ad essere sostanzialmente di “esterni”: come ai miei tempi.
D’altra parte, allora la Commissione era esterna (un solo membro interno) e non c’erano crediti: nemmeno i voti di fine anno, l’esame orale era su due materie e spessissimo anche la seconda – tra quattro – era lasciata al candidato.
Non era meglio di ora, non mi sembra.
Allora, pensavo più sfortunati i miei genitori, i miei zii, i miei nonni ad aver vissuto quell’esame da incubo su tutte le materie e su tutti i tre anni.
Niente tesina, niente mappe, niente buste, niente materie scelte, niente estrazioni di materie, niente quesiti astrusi, esami di riparazione e ben altre percentuali di promossi.
Ora penso anche io: maturità, t’avessi preso prima!
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Foto tratta da: https://www.ilmessaggero.it/scuola/maturita_2019_orali_tre_buste_ultime_notizie_diretta-4576848.html