Pizzaut di Monza: Intervista a Nico Acampora

41532

di Fabio Bandiera

La recente inaugurazione, con tanto di graditissima presenza del Presidente Sergio Mattarella, della seconda sede di Pizzaut di Monza è di sicuro un ulteriore segno evidente di come l’inclusione sociale sia il vero marchio di fabbrica di Nico Acampora, ideatore e fondatore di questo meraviglioso progetto.

Aprire due pizzerie interamente gestite da ragazzi con lo spettro autistico è un’impresa che nasce nel 2017 grazie allo stesso Nico, papà anch’esso di un bambino disabile, ed a un gruppo di sognatori che fa nascere una Onlus con lo scopo di sensibilizzare le Istituzioni sul tema della occupabilità post scolastica di persone affette dallo spettro.

Le capacità mediatiche del fondatore hanno giocato un ruolo decisivo nel coronamento di questa utopia che nei fatti è diventata realtà, grazie ad un passaparola mediatico e ad una campagna di crowfunding che ha coinvolto numerosi sponsor che ne hanno sposato in pieno la causa.

Il resto è storia recente con l’apertura della prima storica sede a Cassina Dè Pecchi nel 2021 in cui ho avuto il piacere di pranzare in un ambiente meraviglioso in cui l’altissimo valore sociale dell’impresa si associa ad un’ottima pizza leggera e digeribile.

Abbiamo avuto il grande onore di incontrare Nico Acampora per apprendere e condividere tutto ciò che ruota dietro questo straordinario universo chiamato Pizzaut che ci rende fieri, una volta tanto, di essere italiani.

Nico buongiorno, partiamo da questa bellissima inaugurazione della nuova sede. Mattarella è venuto a trovarvi per darvi un segno di vicinanza da parte dello Stato. E IL 1 maggio avete aperto al pubblico con un boom di prenotazioni. Un traguardo straordinario e il coronamento di un grande obiettivo sociale?

Avere il Presidente Mattarella con noi per oltre tre ore è stato davvero incredibile, un segnale di presenza e di vicinanza che per noi vale moltissimo.

Avevo raccomandato ai ragazzi di non importunarlo, ma non c’è stato verso di contenere questa grande gioia e lui si è prestato con simpatia e umiltà lasciandosi coinvolgere dall’enorme entusiasmo, anche quando uno dei nostri gli ha urlato “Mattarella uno di noi” lui ha risposto con fierezza di essere orgoglioso di esserlo, che Presidente che abbiamo!!

Per l’apertura del 1 maggio siamo rimasti a dir poco spiazzati dalla mole di prenotazioni che hanno raggiunto circa quota quindicimila, più che per un ristorante sembravano richieste per un concerto.

Il nostro sistema è crashato, ma piano piano riusciremo ad accontentare tutti , abbiamo trecentocinquanta coperti e tutto il tempo per smaltire le enormi richieste che continuano ad arrivare.

Questa nuova sede si va a sommare a quella storica di Cassina De’ Pecchi. Un progetto in continuità col precedente o ci sono delle differenze di asset organizzativi?

E’ un progetto in piena continuità con Cassina, la mia idea è quella di un progetto in scala e replicabile in altri luoghi dove è il fattore umano l’aspetto più complesso da replicare.

Avere già un locale aperto ci ha fatto fare di sicuro dei miglioramenti, per esempio abbiamo insonorizzato il locale in modo da renderlo fruibile dal pubblico senza quel fastidioso rimbombo acustico. Un locale confortevole e più al passo con le esigenze dei  ragazzi he ci lavorano, che hanno ovviamente la priorità assoluta.

Parliamo della genesi di Pizzaut. Come nasce questo meraviglioso progetto e quando hai capito che poteva realizzarsi concretamente?

Il progetto nasce una notte, all’una e mezza sveglio mia moglie e le dico: “Stefania dobbiamo aprire un ristorante gestito da ragazzi autistici”.

Lei mi risponde gentilmente di tornare a dormire, ma alle cinque e mezza lei si sveglia e mi trova sul computer mentre stavo ultimando il progetto.

Ho registrato il logo alla Camera di Commercio e da lì è partita questa avventura che io percepivo come realizzabile nonostante le ovvie difficoltà legate ad avere credito e finanziamenti da chi non credeva assolutamente in questa impresa.

Con fatica e sacrifici ci ho creduto e oggi siamo una realtà consolidata con due locali aperti al pubblico e tante richieste da tutte le parti d’Italia.

Un sogno non solo mio, ma condiviso con tutte le famiglie di figli autistici e non che hanno creduto al fatto che per un ragazzo autistico dopo la scuola non ci sia un istituto o un centro per disabili, ma che possano esistere anche per loro delle possibilità di inserimento concreto nel mondo del lavoro.

Il bacino di utenza dei ragazzi e il fondamentale aspetto formativo. Come siete riusciti ad organizzarvi per renderli idonei a questo tipo di lavoro?

Il progetto Pizzaut coinvolge tantissime figure sia professionali che volontarie, l’aspetto formativo nella fase iniziale è stato molto pioneristico poi siamo riusciti a strutturarlo grazie a dei corsi di formazione tenuti da un nostro partner, La Fondazione Mazzini che gestisce un istituto alberghiero specifico per autismo.

Il resto è un Learn and doing, un affiancamento continuo strada facendo in cui mettiamo tutta la nostra passione affrontando tutte le difficoltà legate alle diverse di problematiche che ogni ragazzo ci propone.

A Monza abbiamo assunto dodici ragazzi con personalità diverse l’una dall’altra, per cui ci siamo inventati una sorta di tutoring autistico in cui responsabilizziamo i ragazzi ad alto funzionamento verso quelli che hanno meno autonomia, un meccanismo virtuoso col quale stiamo ottenendo dei risultati inimmaginabili.

Ci sono stati momenti di paura di non farcela? Le difficoltà maggiori che hai dovuto affrontare?

E’ una paura che ho avuto spesso, in alcuni momenti ho avuto difficoltà a gestire i rapporti con l’altra mia figlia non autistica che mi accusava di trascurare lei e tutta la nostra famiglia, e devo ammettere che non aveva tutti i torti.

La determinazione però non è mai mancata e nonostante le grandi difficoltà ho sempre creduto di potercela fare, questo me lo riconosco.

 

Se oggi siamo qua a parlare di questa realtà come un dato di fatto vuol dire che nonostante i momenti di fisiologico scoramento l’idea di fondo era valida è andata portata a compimento.

Il tam tam dei social ha dato un grande slancio al tuo nobile impegno. Questo ha sensibilizzato l’opinione pubblica e ha agevolato la raccolta fondi? Internet e i social non sono sempre così negativi?

Assolutamente si, soprattutto nella prima fase la comunicazione via social è stata fondamentale perché se oggi ci ospitano un po’ dappertutto sia sulla stampa che in tv, lo dobbiamo alla nostra pagina Facebook che ha avuto anche il merito di convertire un mondo spesso invaso da hater in un mondo di amore ed inclusione.

La comunicazione oggi più che mai è di importanza vitale, tutte le forme se ben utilizzate possono essere molto utili a divulgare le informazioni giuste e a veicolare progetti come il nostro che col tam tam dei social è diventato di fatto virale.

Avete richieste da tutto il mondo, il tuo esempio vincente ha fatto scuola. Pizzaut è già un brand in tutto e per tutto? E’ esportabile nel mondo?

Siamo una realtà unica al momento, in Francia e in Spagna ci sono esperienze simili legate o a ragazzi down o misti tra autistici e down.

Abbiamo cooperative, associazioni e diverse famiglie che ci sollecitano a replicare questo progetto in tutte le Regioni d’Italia, aspettiamo il 2024 per poterci ragionare dopo aver consolidato Monza. Si potrebbe sviluppare un franchising sociale in cui l’impegno di tante famiglie e di figure specializzate possano raccogliere il nostro testimone regalando a questi ragazzi un futuro diverso.

Di sicuro andremo avanti e non ci tireremo indietro perché il mondo del bene sociale ha il dovere di non porsi mai limiti e raggiungere sempre nuovi obiettivi.

Parliamo dei ragazzi. Quanti ne sono impiegati nei due locali e come sono contrattualizzati?

Innanzitutto parliamo delle bellezza di avere dei ragazzi assunti a tempo indeterminato, cosa rara nel mondo della ristorazione.

Ogni volta che ne assumo uno faccio una festa o un evento in cui invito una personalità pubblica a condividere l’importanza di questo momento. Da Conte, al Papa o a Mattarella ho sempre fatto coincidere questi incontri con l’assunzione di un ragazzo, adesso ne ho trentatrè in totale di cui un terzo a tempo indeterminato.

Gli altri sono in tirocinio retribuito al termine del quale cerchiamo di capire se il loro livello di autonomia e di sicurezza gli permette di poter essere assunto in pianta stabile nella nostra famiglia.

Parliamo del mondo dell’inclusione in generale nel nostro Paese. Sei stato anche a livello locale in politica, quanto e come si potrebbe e dovrebbe fare di più? Progetti come il tuo sono sporadici, manca una sistematicità?

Ho dato le dimissioni da assessore all’istruzione proprio per seguire meglio questo progetto, nel mio mandato sono riuscito a passare in cinque anni dai trecentocinquantamila euro investiti nell’assistenza scolastica ad un milione e duecentomila euro, non una spesa bensì un investimento che ha avuto i suoi effetti sia economici e sociali in termini di qualità della vita.

Servono ulteriori risorse da impiegare, ne parlavo proprio con Mattarella che condivide questo aspetto, mancano insegnanti di sostegno qualificati e ci sono troppo poche terapie per le famiglie di bimbi autistici che sono costrette a indebitarsi e a ricorrere sistematicamente al settore privato.

Noi stiamo di sicuro facendo un buon lavoro di Advocacy  riuscendo a portare a galla questi temi, ma occorre fare di più e farlo più in fretta possibile.

Un momento, un ricordo, qualcosa che ti viene in mente da quando sei partito. Un flash che ti porti dentro nel cuore tra i tuoi ricordi indelebili?

Te ne dico due, uno riguarda direttamente i ragazzi e in particolare Lorenzo che dopo quattro anni di centri diurni mi ha confessato che li moriva un po’ di più ogni giorno.

Mi ha confessato poco dopo che da quando è stato assunto è rinato e che grazie a questo lavoro ora riesce anche a sostenere la mamma.

Il secondo è legato all’incontro con Papa Francesco, lui si è chinato per farsi mettere in testa il grembiule di Pizzaut e ha detto questa frase: voi state dimostrando che il buon samaritano può essere una persona disabile”.

Piccoli ricordi e grandi emozioni che mi porto dentro, sperando di poterne vivere ancora tantissimi altri perché questi ragazzi ci regalano davvero ogni giorno sensazioni incredibili.

Fabio Bandiera

Foto tratta da: https://www.avvenire.it/attualita/pagine/il-lavoro-un-diritto-per-i-ragazzi-autistici-a-mattarella-daremo-la-pizza

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.