Che tempi. Tutto è incerto e indefinito. Siamo entrati in un trip inimmaginabile nel giro di pochi mesi.
A gennaio guardavamo all’anno nuovo con la speranza di fare tante cose.
E a marzo eravamo chiusi in casa in un’atmosfera da fantascienza.
Ci siamo ritrovati in una delle peggiori fasi storiche della nostra vita.
Altro che austerity (ve la ricordate, anni 70, la crisi energetica, niente benzina e tutti a piedi).
Altro che anni di piombo, quelli del terrorismo.
La guerra, anzi le guerre nel Golfo?
Macché. La guardavamo in televisione.
Bagdad bombardata, le colonne di corazzati in marcia, la contraerea irachena.
Cose terribili sì ma lontane, se non ci andavi a sbattere contro o non facevi parte di quelle vicende.
Vallo a raccontare ai poveri passeggeri del volo Itavia abbattuto, non si sa bene da chi, sui cieli di Ustica.
Ai loro famigliari.
Oppure ai passeggeri polverizzati a Bologna dalla bomba della strage.
Ai figli, alle mogli, alle madri.
Cose del genere succedono sempre agli altri. Di solito e per fortuna, nostra.
Leggiamo la cronaca sui giornali.
Invece questa storia del virus ci ha colpiti tutti indistintamente.
Condizionando le nostre vite.
Parole prima mai usate sono entrate nel lessico quotidiano.
Lockdown, sinonimo di chiusi dentro. Una casa, una stanza, un ambiente.
Distanza sociale, distaccati dagli altri. Sospetti portatori di virus e batteri.
Mascherine, guanti, protezione, effetto gregge e via così.
La fase 2 e poi la 3.
I coronabond e l’Europa.
Il governo e il dopo-Coronavirus.
E’ stato un anno terribile. Il virus in Usa ha fatto più morti della guerra in Vietnam.
In Brasile ancora di più.
E anche l’Italia ha pagato il suo tributo di vite stroncate.
Ha un senso tutto questo No. Sinceramente non riesco a vederlo.
Non serve a imparare, non serve a migliorare.
La vita, il destino, la morte colpisce così come una falce miete il grano.
Senti un sibilo e poi vite, tante vite, recise tagliate via da questo virus, ma anche da incidenti, da un ponte che crolla in autostrada, da un terremoto, uno tsunami e chissà cos’altro.
E’ sempre accaduto e sempre continuerà ad accadere.
Nel ‘300 la peste spopolò il mondo di allora facendo milioni di morti.
Portata dai topi.
La malaria per secoli infestò territori anche in Italia.
Si pensava fosse causata dal cambio di temperatura. Nessuno, prima che Grassi scoprisse il collegamento, aveva pensato alle zanzare.
Fatalità, caso fortuito, malattie incurabili fino a quando qualche scienziato non scopriva la medicina giusta.
Come è accaduto col tifo, il vaiolo, lo scorbuto.
E gli incidenti. Come quello capitato a un grande guerriero della resilienza come Alex Zanardi.
Andato a sbattere contro un camion mentre si allenava.
Lui, già sopravvissuto a un terribile incidente in Formula 1.
Che ora combatte, nella terapia intensiva di un ospedale.
Un guerriero, buono e positivo, che in questi anni è diventato un simbolo per tanta gente che soffre la disabilità, la malattia, la sfortuna nella vita.
Alex Zanardi che speriamo si salvi, tornando a gareggiare.
Non come un’ameba in un letto.
Come Schumacher, altro campione sfortunato che dopo tante vittorie doveva trovare su una pista da sci il destino che lo aspettava.
A volte la vita è cattiva. Ci colpisce dove fa più male. Abbatte i migliori di noi.
Come Ezio Bosso, uno che aveva ancora tanto da dare e da dire nonostante la malattia.
Che ci ha lasciato poco tempo fa.
Ma può capitare. A chiunque.
Un destino veramente crudele, può far sterzare il nostro mondo all’improvviso trasformandolo in una trappola per topi.
Agli altri, quelli che hanno la fortuna di non avere simili rovesci, la fortuna di poter andare avanti senza pensarci, come se niente fosse.
Si magari un pensiero fugace per quei poveri sfortunati.
Ma poi si va avanti con le proprie piccolezze. Le futilità.
In questo dramma che stiamo vivendo, tanti si lamentano di non poter andare al mare, come al solito.
Fare le vacanze di sempre.
Non poter prendersi un bell’aperitivo, nei bar della movida cittadina.
E che diamine?! Ma che vita è senza le ferie, senza divertimento, senza apericena.
Senza poter andare al mare come si deve.
In gruppo, e tutti insieme, che di queste protezioni ci siamo stufati.
Salire in macchina e sfrecciare per le strade della città. Di notte.
Ubriachi al volante. Un po’ sballati. La vita è fatta per divertirsi.
Per non pensare troppo. Del resto chissenefrega.
Poi succedono le disgrazie e tanta gente piange. Vite rovinate. In un attimo.
Da ragazzino, quando mi facevo male giocando, mi portavano al Pronto soccorso del Centro Paraplegici vicino casa.
C’erano tanti ragazzi in sedia a rotelle.
La maggior parte era rimasta paralizzata per un tuffo.
Un tuffo spericolato da un pontile o da uno scoglio, in mare, e la vita cambiava per sempre.
Ho conosciuto un signore rimasto cieco da bambino perché subito dopo la guerra, aveva raccolto un’oggetto trovato tra le macerie e questo gli era esploso in faccia, privandolo della vista.
All’epoca non avevo mai pensato, a come il destino, può essere cattivo.
E’ che a volte ci troviamo nel posto sbagliato al momento sbagliato, come quel dottore che dopo una visita da un malato di Covid, ha solo bevuto un bicchier d’acqua, infettandosi.
Oppure facendo la scelta sbagliata nel momento sbagliato, come chi prese il biglietto di quel volo, l’870 Itavia, il 27 giugno 1980 o il treno che passava a Bologna, il 2 agosto dello stesso anno alle 10 e 25. Esattamente 40 anni fa.
Le famose “sliding door” che apriamo e fanno la nostra fortuna o la nostra rovina.
A volte entriamo in questi tunnel consapevoli del rischio e del pericolo.
Chi fa un fuori pista in montagna. A volte non ce ne rendiamo conto.
Il virus che ci ha messi tutti in pericolo di vita, è stato una enorme, epocale, sliding door.
Per tutti noi. Ora vedremo come ne usciremo e quali saranno le reali conseguenze.
Il mondo in un attimo è passato dal vivere senza pensieri, a un’ansia esistenziale che non riusciamo a scrollarci di dosso. Passerà. Ma almeno facciamo che sia servito a qualcosa.
Non funzionerà ma dovremmo almeno aver imparato a:
- Prenderci cura degli altri.
- Pensare prima di agire.
- Non mettere noi stessi sempre davanti a tutto.
Meno ego. Più altruismo. Ci riusciremo?
Mah. Ho i miei dubbi. Ma non voglio smettere di crederci.
Alex Zanardi, col suo gran sorriso, mi direbbe potendo “Mai arrendersi. Fai quello che puoi con quello che hai”. Ma lui era un campione. Mica uno dei tanti come me, come noi.
Lui direbbe “Non arrenderti. Mai”.
Spero torni a dircelo presto, di persona, per dare un po’ di senso a questa vita che spesso di senso, proprio non ne ha.
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Foto tratta da: https://www.corriereadriatico.it/sport/news/alex_zanardi_incidente_bici_opsedale_eliambulanza_gravissimo_ultime_notizie-5297737.html