Coaching: Ho capito che!!! Vi racconto la mia esperienza

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di Roberto Bitelli

Quante volte nel corso della nostra vita abbiamo avuto la sensazione di aver compreso qualcosa di importante, qualcosa che ci ha fatto pensare:

“Devo condividerla con i miei figli perché, non voglio che anche loro, ci mettano tanto tempo per diventarne consapevoli”.

Per me è stato un processo lungo che dura da più di 20 anni ed è iniziato quando ho conosciuto il coaching senza neanche sapere cosa fosse.

Avevo però capito che era qualcosa di appassionante, almeno per me che ho spesso fatto scelte dettate più dalla razionalità e dalla pigrizia piuttosto che dal cuore.

Nel 2001 alla “tenera età” di 37 anni mi trovavo in Brasile per lavoro.

In un fine settimana, mi portarono in un agriturismo ad Atibaia a frequentare un corso di formazione sulla Leadership.

Io ancora parlavo poco il portoghese ma quel week end fu per me illuminante.

Ramiro, Il relatore, era bravissimo e riuscì a tenere un’aula di circa 40 persone attenta e partecipativa per circa 48 ore consecutive.

Fu allora che sentii parlare di coaching per la prima volta e fu allora che mi resi conto di quali risultati straordinari può ottenere un team quando, lo stile di leadership si basa su principi di:

  • collaborazione,
  • scambio di idee,
  • definizione dei ruoli,
  • chiarezza degli obiettivi,
  • definizione di un piano di azione e
  • monitoraggio attento dello stesso.

Ramiro ci parlò di auto percezione, di dominanza celebrale, di empatia, dell’importanza di entrare in sintonia con i nostri interlocutori, di ricevere e dare feedback.

Raramente prima, nella mia vita di studente o di partecipante a corsi di formazione, ero stato così attento e coinvolto.

Parlai di questo corso con entusiasmo per settimane con chiunque mi capitasse.

Poi i giorni passarono, fui immerso nella mia routine e pian piano quell’eccitazione svanì.

Parecchi mesi dopo, rientrato in Italia conobbi Claudia, che sarebbe poi diventata una mia cara amica ed anni dopo presidente della ICF Italia (International Coach Federation).

Claudia era seduta al mio fianco su un volo Milano Roma e stava leggendo un libro il cui titolo mi incuriosì.

Nonostante io sia generalmente molto timido, mi feci coraggio e le chiesi informazioni sul libro, rischiando che lei mi considerasse il solito “provolone” che vuole  attaccare bottone in aereo con una bella donna alla quale per puro caso era stato assegnato il posto accanto al mio.

Claudia fu molto gentile e cominciammo a parlare prima del libro e poi dei suoi progetti di fare del coaching la sua professione.

Restai affascinato, non solo dal suo entusiasmo e dalla sua determinazione, ma soprattutto da ciò che mi spiegò sul coaching.

Mi suggerì alcuni libri da leggere per approfondire quella che per me era già diventata un grande passione.

Iniziai con Il libro di John Whitmore: “Coaching”, che al tempo era considerata una Bibbia per neofiti.

Per la legge dell’attenzione selettiva, da quel giorno cominciai a trovare molti articoli, siti e servizi che parlavano di crescita personale.

 

Scoprii che nell’azienda per la quale lavoravo esisteva un corso che si intitolava “il Manager come coach” e naturalmente mi ci iscrissi immediatamente.

Il relatore del corso era la stessa persona che aveva scritto la presentazione della versione italiana del libro di Whitmore ed il corso non era altro che la riproduzione in slide del libro stesso che io avevo già letto più volte.

Scoprii poi che la mia azienda offriva anche un corso avanzato, ma AHIME’!!! era riservato solo ai manager di alto livello e pertanto io (misero quadro), non ne avevo diritto.

Anche se la collega del personale cercò di essere gentile proponendomi corsi alternativi (che non avevano niente a che fare con il coaching), io mi sentii come un bambino che aveva chiesto di bere whisky in un bar frequentato solo da adulti, e cercai di essere collaborativo accettando le proposte che mi furono fatte.

Roberto Bitelli: CoachingMa più parlavo con Claudia, più libri leggevo più sentivo di dover approfondire la mia conoscenza.

Così mi misi a cercare un corso che fosse compatibile con i miei impegni e con le mie finanze.

 

Fu così che conobbi, quello che poi è diventato il mio primo mentore, Luca Stanchieri, fondatore della scuola italiana life coaching (poi diventata “Scuola di coaching Umanistico“).

Presi un appuntamento e andai a parlare con Luca.

Quando gli chiesi di convincermi a fare il suo corso piuttosto che uno dei molteplici che il mercato offriva lui mi rispose:

“Roberto, io non devo e non voglio convincerti. Se vuoi fare il coach devi imparare a farti le domande giuste e a decidere di conseguenza. Solo se sarai convinto allora vinceremo entrambi”.

Mi aveva conquistato ed il giorno dopo mi iscrissi al suo corso.

Ne seguirono molti altri ed io ero sempre più affascinato, non perdevo occasione di leggere articoli e di frequentare seminari:

  • Tony Robbins (il mio vero coach invisibile),
  • Harv Heker,
  • Alfio Bardolla,
  • Livio Sgarbi,
  • Roberto Cerè,
  • Roy Martina,
  • Claudio Belotti

ed altri ancora.

Da ognuno ho cercato di prendere il meglio.

La mia testa era come un tavolo dove erano stati gettati centinaia di pezzi di un puzzle complicatissimo.

Col tempo, lentamente, forse troppo lentamente, questi pezzi hanno trovato la giusta collocazione.

Ho capito che i concetti importanti non erano poi molti e tutti questi grandi formatori ripetevano le stesse cose, usando metafore diverse ma i messaggi erano sempre gli stessi.

Io sono una persona che Roberto Cerè includerebbe nella categoria dei “PRATICI”, le altre due categorie sono: i CREATIVI e i CRITICI.

La mia mente è logica e schematica per cui io faccio fatica quando, chi mi parla non è in grado o non vuole sintetizzare e schematizzare.

Insomma, ci ho messo quasi 15 anni, ma finalmente HO CAPITO CHE…

di Roberto Bitelli

Tempo di lettura: 2’50”

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