Una delle notizie a cui i media hanno dato molto risalto è quella relativa al caso di Indi Gregory, una bambina inglese di 8 mesi, affetta da una rara patologia congenita a carico dei mitocondri, le centraline energetiche di tutte le cellule umane.
Insomma degli organelli che ciascuna cellula vivente possiede per produrre l’energia necessaria alla loro vita.
È una malattia che dunque coinvolge tutti gli organi e apparati. Ovviamente i più compromessi sono quelli che dipendono da un elevato consumo energetico: il cervello, il sistema respiratorio e quello muscolare.
È una malattia progressiva, che nei casi più gravi si manifesta fin dalla nascita con crisi epilettiche, insufficienza respiratoria, ritardo dello sviluppo e malformazioni, come quelle che impediscono la formazione del corpo calloso che collega i due emisferi del cervello o la formazione del nervo ottico.
Questa patologia irreversibile è incompatibile con la vita e ad oggi non esiste una terapia riconosciuta dalla comunità scientifica.
Neanche dal sistema sanitario inglese, all’avanguardia nell’ambito della genetica e dell’ingegneria genetica.
Il caso Indi. Le terapie attuali
L’ospedale dove è ricoverata (il Queen’s Medical Center di Nottingham) ha proposto ed iniziato ai genitori un piano di cure che prevede, in particolare, la sospensione compassionevole del supporto di terapia intensiva entro un periodo di sette giorni.
I suoi genitori hanno però preso in considerazione la proposta dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma, eccellenza mondiale nell’assistenza pediatrica, perché più adeguata al miglior interesse della bambina.
In realtà gli esperti del Bambino Gesù non hanno mai messo in discussione quanto accertato dai colleghi britannici: il quadro clinico appare già sufficientemente chiaro e la patologia ha un esito tragicamente scontato, per cui opereranno in continuità con le cure palliative destinate ai pazienti che non possono guarire dalla loro malattia, ma che hanno diritto a vivere nel modo migliore possibile i giorni che a loro restano.
Il caso Indi. Terapia palliativa vs accanimento terapeutico.
La realtà è che Indi non migliorerà mai. E se non c’è possibilità di guarigione occorre prenderne atto. È come un treno a cui viene tolta la corrente e non c’è modo di ridarla e il treno non ripartirà mai.Nel caso di Indi, rianimatori e giudici inglesi hanno deciso di sospendere alcuni trattamenti che se proseguiti scivolano nell’accanimento terapeutico.
Tenere un bimbo intubato per un mese significa arrecare dei grossi danni alla trachea, causargli infezioni severe e letali, tenerlo sedato in una condizione di grande sofferenza (provate a pensare cosa vuole dire avere un tubo in gola, che passa per le corde vocali, dover essere aspirato in trachea ogni 2 ore, senza poter deglutire e così via… è una cruda realtà), il suo quadro neurologico peggiorerà costantemente e in modo rapidissimo.
In questa situazione gli atti medici sono inutili (non portano ad un miglioramento), sono dannosi (causano sofferenza e hanno effetti collaterali negativi), non fanno in definitiva il bene del bambino prolungandone l’agonia per un tempo indefinito, senza un reale obiettivo. L’obiettivo di un medico è salvare la gente, non ucciderla.
Anzi in questi casi ha solo un mucchio di problemi legali, un sacco di beghe mediatiche, l’evidenza dichiarata del suo fallimento e un carico psico-emotivo tragico.
Va inoltre considerato che per un bambino che occupa un posto in rianimazione per settimane senza prospettive di miglioramento, altri bambini con patologie acute guaribili, non hanno possibilità di accedere alle terapie.
Sembra una crudeltà ma in medicina e nelle urgenze occorre prendere delle decisioni, ovvero scegliere… funziona così, sempre. Sarà crudele, ma il limite esiste. La vita non ha prezzo? Verissimo.
Ma non è giusta nemmeno la vita ad ogni costo.
Di diverso avviso è la Conferenza episcopale italiana che ricorda come “anche la vita dei malati e disabili gravi è degna di essere vissuta e che il superiore interesse del minore è quello di vivere e non di morire”.
Ippocrate già scriveva due millenni e mezzo fa, che la Medicina, deve tendere a “liberare i malati dalle sofferenze e contenere la violenza delle malattie e non curare chi è ormai sopraffatto dal male, sapendo che questo non può farlo la medicina”.
Del resto in situazioni analoghe anche Papa Bergoglio ha sottolineato che “non possiamo evitare la morte, e proprio per questo, dopo aver fatto tutto quanto è umanamente possibile per curare la persona malata, risulta immorale l’accanimento terapeutico.
Con la sospensione del trattamento non si vuole procurare la morte, ma accettare di non poterla impedire”.
È evidente che in questo caso nessuno ha ragione o ha torto: non ci resta che la compassione per la piccola innocente malata.
Post scriptum. Indi Gregory, dopo il distacco dei sostegni vitali avvenuto contro il volere dei genitori, è morta. La Natura ha fatto crudelmente il suo corso, sconfiggendo il dominio della tecnica, capace di distorcere la nostra fragilità e transitorietà e di ridurre la nostra società ad un insieme di fanatismi contrapposti.
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