La crisi del Governo Conte e l’opportunità di cambiare davvero 

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di Claudio Razeto

CRISI deriva dal verbo greco Krino che significa
– separare
– giudicare
– valutare.

Oggi il termine crisi viene usato per indicare un problema inaspettato, il peggioramento di una situazione.

Uno stato di disagio da risolvere al più  presto.

Questa parola ha assunto un aspetto prevalentemente negativo ed è stata privata del suo vero e più profondo significato.

In realtà ogni stato di crescita delle nostre vite passa attraverso una crisi.

Da quelle adolescenziali e giovanili, legate alle crescita della persona ed al suo autodeterminarsi come individuo.

Alle crisi esistenziali che ci impongono domande alle quali non vorremmo rispondere, costringendoci a guardare quello che abbiamo dentro.

Per risolverlo e vincerlo.

Nessuna mutazione o crescita è priva di crisi.

Così anche per le comunità,  le città, le società civili, le nazioni e gli Stati.

Esistono tanti tipi di crisi a noi ben note e possono essere di natura:
– politica
– economica
– energetica
– ambientale
– climatica
– generazionale
– occupazionale

Tutte parole a connotati negativi.

L’etimologia di crisi deriva senza dubbio dal verbo greco krino cioè separare, cernere, in senso più lato, discernere, giudicare, valutare.

Se riflettiamo sull’etimologia della parola crisi, possiamo coglierne però anche una sfumatura positiva.

Un momento di crisi può infatti coincidere con una fase di riflessione, di valutazione, di discernimento e può anche trasformarsi nel presupposto necessario ad un miglioramento, a una rinascita, ad un rifiorire prossimo.

Il nostro stesso fisico può passare periodi di crisi, dette più comunemente patologie.

Da queste spesso si può guarire arrivando anche a migliorare le proprie condizioni generali perché la crisi ha permesso di individuare un problema, una malattia.

Esistono  anche stati che sono crisi dell’anima e della psiche, difficili da affrontare perché fisicamente meno visibili e manifeste.

Depressioni, ansie, fobie.

Chi le supera accetta se stesso e i propri limiti, inevitabili, e può convivere meglio con i propri disagi.

Oggi il nostro Paese è in crisi.

L’Italia soffre di crisi ripetute. Disagi diffusi. Paure.

Anche in queste giornate che dovrebbero essere di vacanza e di svago.

La parola che viene subito in mente è quella di crisi di governo.

Basta guardare un Tg, leggere un giornale, consultare un sito.

È crisi e come si diceva una volta “la Borsa si impenna”, lo Spread sale.

La gente è preoccupata perché c’è la crisi.

Crisi politica anche se in realtà la crisi, la nostra, quella italiana, è più ampia e viene da una serie di crisi lontane nel tempo e mai veramente affrontate. Nè superate.

Intanto esiste una crisi morale.

In molti strati della società il concetto di benessere individuale ha gradualmente e poi ampiamente sovrastato quello di benessere sociale e collettivo mettendolo a margine.

E questo ha generato una crisi morale facendo crescere invidia, odio, livore sociale.
C’è chi ha tanto, a volte troppo, e chi niente o quasi.

La crisi socio-economica è fortemente legata alla mancanza di un progetto capace di coinvolgere generazioni intere. Classi sociali.

Categorie diverse per età e mestiere.

La crisi politica deriva da un degrado generale.

Da un distorto senso della gestione del bene-Stato.

Da un accaparramento di cariche e posti di potere, basato non su una effettiva capacità di gestire la res pubblica, la cosa comune, ma sul mero profitto e interesse individuale.

È una malattia, un virus diffuso che richiederebbe una terapia d’urto capace far rivivere anticorpi potenti quali l’onore, il rispetto, la dignità, il senso dello Stato.

Il rispetto delle istituzioni anche nel rappresentarle di fronte ai cittadini, ai media, agli organismi internazionali.

La capacità di rendere onore all’Italia anche fuori dai nostri confini, in Europa come nei consessi internazionali.

Il suffragio universale ha dato, col tempo, l’errata sensazione che per guidare il popolo bisogna assomigliare a tutti gli strati della massa anche quelli più triviali e beceri.

Parlare solo alla pancia e non al cervello. 

Tutti uguali a pari merito.

Da quelli plurilaureati o di capacità dimostrate.

A quelli che dicono di aver studiato all’università della strada o che si vantano di non aver mai letto un libro.

L’uno vale uno.

Senza guardare chi è quell’uno che può anche valere zero se si guarda al suo vissuto e al suo passato.

C’è chi ha fatto tanto anche senza titoli accademici magari realizzando qualcosa per se stessi o per gli altri.

Ma per ottenere questo status, bisogna aver molto e ben vissuto o più spesso molto e ben studiato o magari tutti e due.

Essere capaci conta soprattutto quando le cose vanno male, come quando c’è una crisi.

Perché la crisi di solito pone chi la vive, essere umano o entità sociale, organismo o sistema, davanti a un bivio. Una scelta obbligata.

La strada intrapresa determinerà il possibile futuro. Nel bene o nel male.

E per scegliere quella strada  non c’è bisogno di essere esclusivamente al comando. Avere il potere.

Piccoli gesti compiuti in massa possono decretare il destino di una nazione intera.
A volte basta barrare una scheda come col voto democratico, votare a un referendum come con la Brexit.

Un tempo bastava stare in una piazza, con altre centinaia di persone, con il braccio alzato o il pugno chiuso, o marciare su un palazzo per avallare una guerra, fare una rivoluzione.

O semplicemente mettersi davanti a un carro armato da solo su una piazza cinese con le buste della spesa in mano, per esprimere dissenso.

Come a Tienanmen.

Gesti apparentemente inutili che entrano nella Storia.

L’Italia vive in questi giorni l’ennesima crisi politica balneare.

Inizia il rituale delle consultazioni al Quirinale e soprattutto della conta numerica per trovare una nuova maggioranza o andare nuovamente al voto.

Intanto venti di crisi soffiano dall’Europa agli Usa di Trump, dalla Cina alle prese con le proteste di Hong Kong, alla Russia di Putin contestata  dai suoi giovani che chiedono cambiamenti e riforme, dal golfo di Ormuz dove l’Iran gioca una pericolosa battaglia fatta di minacce e petrolio.

Anche il clima è in crisi.

Ce lo mostra tutti i giorni in ogni angolo del pianeta. Dalle alluvioni al nord agli incendi in Siberia che bruciano ossigeno e CO2 come milioni di auto a benzina col motore acceso.

Il mondo in cui viviamo ci sta mandando dei segnali e dovremmo coglierli. 

Se crisi vuol dire anche crescita e cambiamento, dovremmo tutti perseguire questo obiettivo. Per sopravvivere o salvarci addirittura.

Non solo a livello individuale ma  collettivo.
Se nei paesi più poveri del pianeta il clima peggiorerà, la temperatura salirà ancora, l’acqua mancherà ancora di più, e così il cibo

Le migrazioni non saranno più locali ma bibliche.
E non basteranno porti chiusi, reti o muri a fermare una massa in fuga che potrebbe trasformarsi in un’orda.
Se i metodi di integrazione europei, e specialmente in Italia non sono stati un modello da seguire, se le Onlus, talvolta poco trasparenti non sono state lo strumento più efficace per evitare che centinaia di immigrati, salvati dal Mediterraneo e dalle carceri libiche,  finissero buttati nelle strade delle nostre città senza lavoro né futuro, bisogna immaginare a qualcosa di più efficace.
Ma ignorare questi fenomeni non si può.
Bisogna cambiare azioni, vedute, prospettive ma soprattutto avere progetti. Non solo studiati e attuati in Italia ma anche in Europa e poi nel mondo.
Ora la crisi che riempie i giornali è politica. Ed è  tutta italiana.
Il governo Conte traballa.

Si parla di elezioni dopo le vacanze. E di una ennesima campagna elettorale.

Saranno in molti i politici che si presenteranno con la parola cambiamento alle prossime probabili prossime elezioni.

Un termine di moda quanto quello di crisi.

L’altro argomento saranno le recriminazioni. L’un contro l’altro armati, salvo allearsi se farà comodo, anche contro coerenza e logica.

Tra gli ex alleati già volano gli insulti come se in pochi giorni fosse cambiato tutto.
Come due coniugi che in piena separazione si coprono di improperi e recriminazioni.
I supporter da socialmedia sono già in piena attività.
Ma non sarà di certo questa la strada che ci porterà fuori dalla crisi ben più vasta che corriamo il rischio di correre.
Molti parlano della fine di questo Paese.

Del destino  di diventare solo un grande resort vacanze.

Ma le nostre eccellenze, in tutti i campi, dicono esattamente il contrario.

A dispetto della politica e dello Stato che spesso non aiuta ma appesantisce.

Che peggiora la qualità dei servizi che dovrebbero essere la contropartita delle tasse più alte d’Europa.

Uno Stato dotato di enti che non fanno nemmeno il minimo sindacale, come manutenzione alle strade, dei ponti, delle ferrovie locali e non raccolgono neanche la spazzatura.

Uno Stato che salvaguarda e paga chi quei servizi dovrebbe fornirli e non chi dovrebbe riceverli.

Se l’Italia trovasse il giusto management, le persone più adatte e dotate di senso dello Stato e delle istituzioni, non camminerebbe con l’affanno ma correrebbe.

Perché purtroppo gli italiani non sanno fare squadra, ma quando ci riescono non li ferma nessuno.

Ecco cerchiamo di trovare, se ci sono, personaggi – non solo partiti o movimenti  – in grado di unire anziché dividere.

Capaci di andare a un talk show, senza urlare, ma dicendo cose sensate e non solo slogan da propaganda.

Magari meno impegnati a twittare o postare su Facebook e a  lavorare di più e meglio per il bene di tutti gli italiani.

Senza troppi No, ma con i Si giusti per rimettere in sesto il Paese e dare un futuro ai nostri giovani senza trasformare l’Italia in un enclave di anziani e pensionati.

Che rispetti la bandiera, i suoi militari e i suoi poliziotti.

Addestrandoli al rispetto delle istituzioni e della gente che sono chiamati a proteggere.

E ci faccia diventare non un’espressione geografica, folcloristica e dileggiata, ma il Paese geniale, creativo, determinato, capace che siamo.

Se la crisi porterà a questo, anche l’esperienza del governo giallo verde di Conte, Di Maio e Salvini, sarà servita a qualcosa.

E così sarà per le elezioni che probabilmente seguiranno.

Altrimenti sarà l’ennesimo show propagandistico che noi italiani ci saremmo potuti risparmiare e che invece di farci superare la crisi ci farà regredire ancora, alla faccia dei cambiamenti annunciati e mai realizzati.

Claudio Razeto

Tempo di lettura: 2’00”

Foto tratta da: http://www.bergamopost.it/che-succede/salvini-apre-alla-crisi-governo-ora-guerra-nervi/

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