Storia di un single a casa ai tempi del coronavirus

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di Claudio Razeto

Storia di un single a casa ai tempi del coronavirus

La misantropia si sviluppa quando una persona, riposto completa fiducia nei confronti di un altro che sembri essere di buon animo e veritiero, scopre poi che questa persona in realtà non lo è. Quando questo succede troppo spesso, ecco che essa comincia, inevitabilmente, a odiare tutte le persone e a non fidarsi più di nessuno.

Socrate

Una storia qualunque al tempo del virus

A volte, per fare certe cose, bisogna isolarsi:

  • per ritrovare se stessi
  • fare il punto sulla propria vita
  • focalizzare obiettivi e valori

Isolarsi…

A volte siamo noi a farlo, con una consapevole scelta di volontà.

Col Coronavirus è la vita che ci ha isolato tagliandoci fuori dal mondo.

Allontanando gli altri.

Gli eventi che hanno scelto per me, senza darmi nemmeno il tempo per riorganizzarmi.

Non amo la gente, la folla, la massa.

E’ questione di carattere, di indole, di natura.

Tra una serata in chiassosa e vuota compagnia ho sempre preferito un bel libro o un film da solo a casa mia. Protetto tra le quattro mura del mio appartamento.

Al massimo un paio di amici e stop.

Non mi sento un misantropo ma non sono quello che definireste una persona di grande compagnia.

Direi più un misantropo sociale. O uno dei tanti che vive i nostri tempi di vite senza eccesso di connessioni, oltre quelle virtuali.

In passato ho fatto persino preoccupare i miei genitori.

“Perché non ti fai degli amici? Perché non esci? Fatti una ragazza”, mi dicevano.

Una volta li ho sentiti parlare di psicologi e terapie.

Poi hanno smesso. Se ne sono fatti una ragione.

Ora sono chiuso in quarantena da settimane ormai. Come tutti.

Ma questa volta non l’ho scelto io.

Single, 40 anni, impiegato. Vivo da solo e da solo mi ritrovo a gestire questa situazione surreale.

Mai vissuta da nessuno prima d’ora.

Le restrizioni di #iorestoacasa, la quarantena a cui ci siano dovuti adeguare, saranno anche giuste ma iniziano ad essere pesanti persino per me.

D’altronde se muore addirittura Luis Sepulveda di Covid19, non puoi staccare il pensiero da questa tragedia planetaria.

Fare finta di niente. Sepulveda? Ma ti rendi conto.

E’ sorprendente pensare che della “spagnola” del 1918– che fece 50 milioni di morti – non si ricorda nessuno.

Quasi la coscienza collettiva avesse rimosso una pandemia globale come quella che ha preceduto il Coronavirus.

Quando è iniziata mi sono detto: “Non cambierà granché. Dovrò solo stare di più a casa”.

Invece no.

Prima c’era la mia vita. Quella serie di contatti regolari e fissi.

I colleghi in ufficio. I ragazzi del calcetto. La mia routine…

Le uscite ogni tanto con gli amici.

Ma ora niente. Nemmeno quello.

All’inizio sembrava paradisiaco. Fantastico per uno come me.

Un tipo sociale ma non troppo.

Ora un po’ meno.

Dopo giorni. Settimane.

Le giornate si trascinano lente. Uguali a quelle precedenti.

Colazione abbondante. I TG con le notizie alle 8.

Zapping tra Rai1, Agorà, la7.

Qualche giorno fa mi è capitato di restare in pigiama buona parte della giornata ma poi mi sono imposto di mantenere una vita normale.

E allora doccia e barba.

Look sportivo, minimo jeans e maglietta.

In caso di conference call col capo, persino la camicia, almeno quella.

Lavoro, smartworking. E mail, telefonate via Skype. Per certi versi è come stare in ufficio.

Ma mi mancano i viaggi di lavoro. Per il resto la solita routine.

Fino all’ora di pranzo.

Poi un pasto. Di solito preconfezionato. O un piatto di pasta. Formaggio. Frutta, verdura come consigliano in tv.

Cercando di non esagerare con le calorie.

Un bicchiere di vino. Visto che lavoro da casa, ci sta. Tanto non devo guidare.

Nel pomeriggio due passi. Un po’ d’aria. Duecento metri da casa.

In giro un po’ di runner, gente col cane e in bicicletta.

Non è proprio un lockdown totale.

Esco a piedi. Vado in edicola. Poi in fila a fare la spesa.

Mascherina sul naso, guanti (che ancora non si è capito se servono o no).

Distanziati in sicurezza si entra uno alla volta.

I carrelli disinfettati dagli addetti prima di entrare. Tra i banchi del supermercato ci si evita quasi.

Siamo tutti protetti. Ma non si sa mai.

La cassiera, gentile, sorride con gli occhi da dietro la mascherina.

Poi a casa. Televisione fino ad arrivare alla nausea.

Alessandro Borghese, Cannavacciuolo, la Casa di carta, Pechino express, Alberto Angela, Spie al ristorante, Chef Rubio, un documentario su psicopatici americani che allevano tigri, i Vichinghi, edizione straordinaria dei Tg, Conte che ribadisce “state a casa, state a casa”.

La televisione resta accesa anche mentre navigo su internet.

Gioco on line con Pantera27, che mi straccia a Word domination.

Chatto con una tipa – sul sito che per single mi ha consigliato il mio amico – ma ci mandiamo a quel paese in fretta, verificato che non c’è grande compatibilità.

Lei tatuata fino alle orecchie io con i miei occhiali da nerd.

Anche su Facebook, sembrano tutti sull’orlo della crisi di nervi.

“Ma andremo al mare quest’estate?”, posta una palestrata bionda.

“Ma non vi rendete conto che è un colossale complotto”, replica un altro.

Un mondo di matti e Twitter è anche peggio con i tweet surreali dei politici che riescono a litigare anche in una situazione del genere.

Spezzo con una una videochiamata social su Whattsapp del mio gruppo di amici.

Tutti connessi.

Stanno tutti bene, per fortuna.

Quelli sposati mi sembrano meno depressi.

Sento le urla dei ragazzini più piccoli che si pestano nel tinello.

Ogni tanto una moglie sbuca sullo schermo e saluta mentre prepara il pane fatto in casa.

“Certo quest’estate sarà un casino?”, è la lamentela corale.

“Al mare come ci andiamo? Vogliono fare box di isolamento e tutti con la mascherina”.

“Meglio la montagna”. Ragazzi appena finito questo casino un bel festone al mare e aperitivi come se non ci fosse un domani”. Già. Un domani … Ci sarà un domani?

Tutti aspettano la fase2, la riapertura, la fine di questo colossale casino.

Ma nessuno sa come sarà…domani.

Resistere e aspettare.

Con pazienza. Che ci venga detti basta, è finita, “liberi tutti”.

Si parla di #fase2, di #riapertura, con tutto quello che questa comporterà in termini di cambiamento di abitudini di vita.

Ormai lo abbiamo capito. La vita cambierà se non per sempre, per parecchio tempo.

Almeno fino a quando non ci sarà il vaccino a cui stanno lavorando in tutto il pianeta.

Anche in Italia.

Sicuramente resteranno:

  • mascherine
  • gel disinfettante
  • distanze di sicurezza

Certo in un locale a ballare con la mascherina…sarà dura.

Ma intanto si resta a casa.

Io mi sento sempre di più come Robinson Crosue sull’isola.

Tutta la libertà che avevo. Gli aperitivi, le feste, la mia rete di relazioni sociali.

Il mio ragionato distacco. La mia coltivata “singletudine”.

Una storia ogni tanto. Ma mai niente di serio.

Ho il mio lavoro. Ho da fare, io.

Però ora qualcosa non torna?

In un momento come questo tutte le mie paranoie, non servono a niente.

Sto seriamente pensando a come sarebbe una “convivenza”.

A chi ho allontanato perché minacciava la mia indipendenza, la mia autonomia.

Mi sento un po’ solo, così solo, e non mi era mai capitato.

Non è che ho preso un abbaglio? Ma se ora avessi vicino una persona con me.

Uno straccio di compagnia. Sarebbe diverso?

Ci voleva il Coronavirus per arrivarci?

O forse no?

Meglio un gatto o un cane? Ma dai? Col mio lavoro non ho mai il tempo

neanche per un pesce rosso.

Se continua così finirò a parlare col pallone, come Tom Hanks.

Troppi pensieri, troppi.

Dal network dei social arrivano le notizie più disparate. Una signora nel quartiere è finita in ospedale col virus.

Il Covid lo hanno sparso gli alieni.

Ci vogliono tutti chiusi in casa per montare di nascosto le antenne 5G.

Un meteorite colpirà la Terra.

Notizie che sembravano assurde fino a qualche giorno fa ora diventano verosimili.

Guardo fuori dal balcone? Il meteorite per fortuna non c’è.

Ma là fuori non è proprio il deserto. Anzi. Un sacco di gente a spasso giù in strada.

Col cane, ma anche senza. Persino in bicicletta.

Fossi l’unico fesso che sta chiuso in casa?

Nemmeno mi avesse letto nel pensiero dalla tv una voce mi richiama all’ordine, con gli avvisi: “Non uscite! E lavatevi le mani!”.

Intanto si fa buio.

Storia di un single a casa ai tempi del coronavirus

Hanno tolto tutto….anche il calcio. La Formula 1, il Moto Gp.

Non mi diverto più nemmeno con la Playstation.

E’ sabato? Boh. No è ancora mercoledì. Non mi rendo nemmeno più conto del tempo che passa.

Parlo ancora da solo. Stasera “seratona” di Tv.

Zapping tra reality, programmi di gastronomia, Pechino Express, Grande fratello.

Non so quanto reggerò. Sono alla quinta serie di Netflix.

Ormai le scelgo solo in base al numero di serie per tirarla per le lunghe.

Poi mi addormento sul divano. Mi trascino a letto a notte fonda.

Domani sarà un’altra giornata, uguale a quella che è appena finita.

E inizia a pesare. Sto rivedendo i miei progetti. Le mie priorità.

Forse la mia solitudine dorata, non era così dorata.

Forse ho sbagliato qualcosa.

Quando finirà questo disastro starò meglio.

Ma avrò ancora un lavoro? Andrò in vacanza? Avrò i soldi per pagare il mutuo? 

O dovrò tornare a vivere dai miei?

Basta ho deciso. Stavolta in barca a vela col gruppo ci vado.

O in vacanza al mare. Movida a Formentera o in Grecia.

Chiudo la serata con un vecchio film. Un polizzesco anni ‘70.

Milano trema Roma spara.

Che roba? Ma facevano certi film una volta? Incredibile. Mi ci addormento.

Domani botta di vita. Devo passare in ospedale per ritirare le analisi.

Controllo di routine. Niente di che. Ma almeno esco di casa.

Sono sempre stato un po’ ipocondriaco, oltre che mezzo misantropo.

Guardo sempre su internet al minimo sintomo di qualcosa.

Non si sa bene come funziona questo stramaledetto Covid19.

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Vado in ospedale. Devo ritirare delle analisi.

Mi sveglio presto nemmeno dovessi partecipare a un evento.

Almeno vedrò un po’ di mondo dopo tanti giorni. Non guido da settimane.

Per strada è un continuo di blocchi stradali.

Mostro ai Vigili che mi hanno fermato l’ultima versione di autocertificazione.

La città deserta fa proprio impressione.

L’ospedale è abbastanza affollato nonostante l’emergenza COVID.

Doppia mascherina. Non si sa mai.

All’ingresso posto di blocco: controllo temperatura, questionario. Mi chiedono se vengo da aree in zona rossa, se ho avuto la febbre. Tutto negativo posso entrare.

In sala d’attesa un ragazzo su una sedia a rotelle. Vicino, un uomo, probabilmente il padre.

Tutti seduti a distanza.

Tutti in attesa probabilmente con la voglia di lasciare quel posto al più presto possibile.

Il papà del ragazzino mi guarda. Sorride da dietro la mascherina.

Il ragazzo sembra dormire ma ogni tanto apre gli occhi e mi guarda.

Non so di cosa soffra. Ma è evidente che ha un problema.

Grosso.

“Vede – mi dice il padre quasi mi avesse letto i miei pensieri – alla fine questo ragazzo è più forte di me e di lei messi insieme”.

Lo guardo. Tra tante persone ha deciso di parlare con me. Ma non riesco a sentirmi infastidito.

La mia naturale misantropia mi vorrebbe seduto lì a farmi i fatti miei, in attesa di fare quello che sono venuto a fare e poi tornarmene in fretta a casa.

Ma non ci riesco. “Vuole sapere perché?”, mi chiede.

“Noi combattiamo una battaglia sola – mi dice guardandomi – lui ne combatte due.

Non parla, non cammina ma capisce tutto sa?

Il virus lo conosce anche lui. Lo combatte anche lui. E lo fa dalla sedia a rotelle.

Con la sua malattia”.

Non so cosa rispondere. Provo a sorridere ma mi sento un idiota.

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Mi chiamano. E’ il mio turno. Saluto con un cenno della mano.

La visita è veloce, sto bene. Le analisi sono buone. Sano come un pesce.

Mentre in macchina, torno a casa, penso alla fase2, alla ripresa, a quando questo incubo sarà finito. Alle vacanze e agli aperitivi.

Poi a quel ragazzo in sedia a rotelle.

Penso a quelle persone, come lui, che finito tutto dovranno ancora combattere malattie che non se ne andranno né col vaccino né con l’immunità di gregge.

Perché per loro, la fase2, non basterà.

Ci vorrebbe una fase3 per loro, che probabilmente, salvo un miracolo, non arriverà mai.

Le mie analisi sono a posto. In fondo sono fortunato.

In questo delirio che è la vita, sono in salute.

La gente sta morendo a causa del virus. Ma in tanti stanno male per altre patologie.

Non è poco. C’è chi sta peggio.

E noi viviamo come se niente fosse. Magari se non ci fosse il Covid nemmeno ci penserei.

Forse sarà il caso di rivedere le cose quando tutto questo sarà finito.

Ridare un po’ di senso alla mia vita.

Magari iscrivermi a un gruppo di volontari per dare una mano.

Donare il sangue. Rivedere un po’ tutto.

E dare retta a mia madre. Trovarmi una brava ragazza.

Per avere qualcuno da amare. E non restare solo.

Claudio Razeto

Tempo di lettura: 2’20”

 

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