Chi altri se non lui

42482
Scarica il podcast dell'articolo

di Gaetano Buompane

Ebbene sì, anche io mi sento diffamato. Già da tempo ormai. Una diffamazione continua, insistente. E non stiamo parlando di frasi riportate su qualche giornale, dichiarazioni tutte da confermare apparse su un blog o sui social network.

Non si tratta di chiacchiere, voci, di schermaglie tra studi legali.

Sono tutte diffamazioni belle e buone, spiattellate in faccia per fare male, per provocare, col chiaro intento di rovinarmi la vita.

Sono accuse chiare, circostanziate, diffamazioni ben studiate atte a denigrare, non quelle cattiverie che vengono fuori quando si è arrabbiati, quando dalla bocca escono parole che in realtà non si pensavano affatto.

In quel caso si potrebbe sorvolare, cercare di comprendere il momento, certi che prima o poi delle scuse si riceveranno.

Si potrebbe addirittura convenire che, ancora una volta, la verità sta nel mezzo e che quindi accordarsi per la pace con una bella stretta di mano possa essere la cosa migliore da fare per non rischiare di pregiudicare la serenità di nessuno.

Ma stavolta no, non è proprio più possibile soprassedere, abbiamo passato il limite.

Questo tipo di diffamazioni mi hanno fatto perdere opportunità di lavoro, possibilità di crescita economica e professionale. Hanno minato la mia stabilità mentale, il mio sano equilibrio psico-fisico.

Ormai non sono più un ragazzino. Le spalle saranno pure larghe, ma sono le gambe che spesso vacillano sotto così tanti colpi.

Adesso basta! Voglio denunciare chi mi sta screditando, portarlo in giudizio. Sono pronto ad affrontare un processo, costi quel che costi.

Io stesso sono la prova vivente di quanto queste accuse infamanti siano ingiuste, terribili, pericolose. Il giudice deve darmi ragione, basterà guardarmi negli occhi.

Quello che voglio è un giusto risarcimento per i danni morali ed economici che ho dovuto subire per così tanto tempo. Ho diritto ad essere risarcito con i milioni, dieci, quindici, cinquanta, vedrò col mio avvocato.

Anch’io voglio rinascere ad una nuova vita, chiudere questo capitolo disgraziato e non pensarci più.

Secondo il parere del mio legale, però, non sarà una causa facile. Non è che se ne stia tirando fuori, è che non ci sono mai stati casi simili, per lo meno non a memoria, e quindi sta un po’ trascinando la cosa.

E già, perché io voglio portare in tribunale me stesso, voglio fare causa all’altro “me”, quello che continua a dirmi che sono un fallito, che è meglio che lascio perdere, che sono un buono a nulla.

Voglio chiedere giustizia per essermi ripetuto per anni di essere inadeguato e di non essere all’altezza.

Per colpa dell’altro “me” mi sono spesso tirato indietro, non ho approfittato delle occasioni che la vita mi ha messo di fronte, ho rinunciato ancor prima di dimostrare di non essere inferiore a nessuno.

Io lo so. Il mio avvocato non è preoccupato che possa uscirne ridicolizzato, è che sa perfettamente che io non ho il becco di un quattrino e se dovessimo vincere la causa non riceverebbe il suo compenso.

Ma io gliel’ho detto, l’altro “me” non lo conosco bene, per quanto ne sappiamo potrebbe benissimo aver accumulato una fortuna. Anzi, ne sono certo.

Rifletteteci. Chi altri può aver approfittato di tutto quello a cui ho rinunciato se non lui?

È solo trovare le prove.

Gaetano Buompane

Tempo di lettura 1’30”

Il Sofà è una rubrica settimanale.
Ogni lunedì, se ti va, ci sediamo comodi per una nuova chiacchierata.

Se hai voglia di leggere alcuni dei miei lavori li trovi su Amazon
Foto da Pixabay

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.