L’ombra di ogni uomo

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di Gaetano Buompane

L’alba dalla finestra di casa è un vero spettacolo. Il sole nasce alle spalle degli alberi e delle case al di là della strada e così si forma un palcoscenico in giallo e nero di luce e sagome.

Le geometrie di muri e tetti, triangoli e quadrati, si fondono al ritmo verticale dei tronchi e alle linee intricate delle chiome degli alberi che qualcuno ha piantato a ridosso del perimetro del giardino.

È un sipario che si alza ogni giorno, un palcoscenico silenzioso, l’inizio di un breve spettacolo annunciato dal verso di un gallo che canta distante, ma ben chiaro al mio udito insonne.

Venti minuti incantevoli, durante i quali la paura delle tenebre si dissolve e la luce intensa non ha ancora messo in mostra la realtà delle cose.

Una visione bidimensionale del mondo, una sua rappresentazione appunto, il mio privato teatro delle ombre.

In tutto questo tempo è sempre stato un palco vuoto di fronte al quale, unico spettatore, non ero preparato a nessun colpo di scena se non quello prevedibile, e non meno spettacolare, della luce del sole che colora la vita.

Eppure, l’altro giorno, uscito dalle quinte del muro, un uomo – la sua sagoma – si è fermato nel bel mezzo del cancello. E lì è rimasto.

Un brivido improvviso m’ha fatto tremare anche le ossa. Se fosse solo passato nemmeno ci avrei fatto caso, ma perché fermarsi proprio lì? Ce l’aveva con me. Mi stava osservando, ne ero certo, seppur non vedessi i suoi occhi.

Mi sono ritratto nello scuro della casa, freddo lungo la schiena, occhi fissi al cancello e all’attore immobile che si era preso la scena.

Un paio di minuti ancora e se n’è andato, scomparendo dietro il muro, lasciandomi indeciso su cosa fare mentre la luce del sole già riempiva la stanza.

Ho passato un giorno d’inferno, incastrando chiunque incontrassi in quella maledetta sagoma, finché ho abbandonato ogni impegno e mi sono chiuso in casa.

All’alba, l’ombra di quell’uomo era nuovamente lì, al centro della scena, ad osservarmi, a scrutare la mia vita, a sfidare il mio coraggio, a godere della mia inquietudine.

Chi era? Che cosa voleva da me? Sapevo, ne ero certo, che si stesse prendendo gioco di me, ma per quale motivo?

Ho cercato di riconoscere un dettaglio, un movimento che potesse ricordarmi qualcuno di conosciuto ma, ancora una volta, poco prima della luce, scomparve dietro il muro.

Mi sono dato malato, ho chiuso porte e finestre e ho tirato le tende. Ero chiaro, il giochetto era finito e adesso mi sarebbe venuto a prendere.

Ho perso il sonno e l’appetito e la mia unica ossessione è diventata aspettare il suo assalto.

All’alba cercavo di scoprire le sue mosse, ricevere un segnale. Lui stava immobile, là davanti. Appariva al primo chiarore e se ne andava insieme alle tenebre.

Se non volevo cadere nella sua trappola avrei dovuto reagire. Così ho preso coraggio. Ho afferrato un manico di scopa e, prima dell’alba, mi sono appostato dietro il muro al lato del cancello.

Il cuore non la smetteva di tremare, le gambe molli, il respiro soffocato. Per un istante ho pensato alla mia incoscienza, alla morte.

Poi, il verso del gallo in lontananza, il primo chiarore, un fruscio oltre il muro. Era lì, lo sapevo.

Ho fatto un balzo e sono atterrato di fronte a lui, il cancello a separarci. Gli ho urlato di andarsene una volta per tutte, che avrei venduto cara la pelle se avesse solo tentato di avvicinarsi. Lui non sembrava sorpreso né intimorito.

La luce del sole era più forte, non riuscivo a vederlo in faccia, ma aveva un bastone come il mio e faceva le mie stesse mosse, a specchio. Allora mi sono fermato, perplesso. La sua sagoma si incastrava perfettamente sul mio corpo.

Così sono rimasto immobile, di fronte al cancello, finché il sole, vigoroso, ha inondato tutto di luce e calore e quell’ombra, come ogni giorno, se n’è andata. Lasciandomi da solo sul palco.

Gaetano Buompane

Tempo di lettura:1’40”

Foto da Pexels

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