L’imprenditore francese e CEO di Ubisoft Yves Guillemot, un sessantenne dal fisico invidiabile, nel 2018 disse che l’attuale generazione di console per il gaming sarebbe anche stata l’ultima.
E lo disse con convinzione, badate bene, non lo fece per via degli accordi con Google, che stava preparando un non proprio trionfale ingresso nel mondo del Cloud Gaming elargendo caramelle a destra e a manca, no, si vedeva che ci credeva.
Disse che Il futuro del gaming non è una scatola da attaccare al televisore, nossignori.
A volte vorrei poter gozzovigliare nelle certezze con la sua stessa naturalezza.
Non sapeva però, poveraccio, come avrebbe potuto, che una delle psicosi collettive del 2020/21, ovvero cercare di comprare proprio una cosa da attaccare al televisore per giocare a Fifa, forse per l’ultima, drammatica volta (spoiler alert: no), avrebbe avuto un certo impatto su diverse soluzioni che anche Google ha dovuto riconsiderare.
Sembra che tutto sommato le scatole vadano ancora alla grande.
La gente sta pagando cifre da perderci il sonno per garantirsene una, alcuni hanno fatto diventare un lavoro trovarvi la Playstation 5, povere anime perdute.
Mentre Stadia, beh, nessuno sa cosa sia.
Sapete cosa sia Stadia? Esattamente.
E pensate, quando si dice il destino, Monsieur Yves, l’ingenuo, non sapeva nemmeno che sarebbe arrivata una maledetta pandemia che ci avrebbe fatto spendere una valanga di cocuzze per saziare una atavica fame di intrattenimento tecnologico e relativo packaging:
- fisico,
- rumoroso,
- ingombrante,
- riciclabile,
che a sua volte avrebbe fomentato una carenza mondiale di materie prime per la produzione di altro intrattenimento tecnologico e macchine che fanno finta di guidare in autonomia.
Quanto ci piacciono quelle.
Ci piacciono le cose. Sanno saziare una fame antica come il mare, è stupidamente e splendidamente umano, imperfetto e senza senso.
Ci piace raccogliere cose sin da quando scappavamo dai dinosauri in Jurassic Park, siamo collezionisti, gatherers, per natura, per convenienza o probabilmente per impressionare un partner senza venire sbranati, chissà.
E ovviamente non sappiamo come, dove o a cosa giocheremo nel futuro, nessuno è cosi saggio per saperlo, nemmeno Siri, figuratevi un francese ammaliato da Google.
L’offerta videoludica non è mai stata così vasta, accessibile, democratica e intrisa di creatività’ come adesso.
C’è un gioco per tutti, per tutte le tasche e per tutti i gusti, e tutti convivono nello stesso spazio competendo per il nostro tempo.
Trovate il kolossal costato centinaia di milioni di verdoni accanto al progetto indie di 5 cinesi, sperimentazioni a non finire, storie dense e mondi inimmaginabili, free to play, simulazioni, mod, cloud gaming, Game Pass.
È travolgente e non sembra destinato a finire o cambiare presto.
Quindi che sia una scatola con o senza tv, una pillola al sapor di giallo, un server sulla Luna a cui accederemo con l’immaginazione più’ spicciola, un servizio in sottoscrizione come Netflix impiantato direttamente nella cornea, un orologio furbo che riconosce la tua puzza o solo una banale Playstation 7, non importa poi molto il futuro del gaming, o almeno non importa il mezzo.
Tra venti o trenta anni, qualunque cosa sia, sono certo che sarà’ uno spettacolo all’altezza della nostra fantasia.
Del resto, se Mario o Sonic non esistessero, riuscireste a immaginarli?
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Foto tratta da: https://player.gioconews.it/videogiochi/27964-ubisoft-il-ceo-guillemot-film-sui-videogiochi-una-questione-di-controllo-creativo