L’opinione pubblica, il consenso e la politica

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di Claudio Razeto

“Non bisogna credere o fingere di credere che ogni manifestazione di animo esprima davvero una pubblica opinione. L’opinione pubblica per avere autorità deve essere vera, certa, ed avere fondamento sul consenso più generale delle menti colte di un Paese”.

Questa frase, avrebbe potuto essere scritta oggi, anche se fa parte di un discorso tenuto alla Camera nel 1873 da Ruggero Bonghi, filologo, giornalista, accademico e politico italiano.

A quasi 150 anni di distanza, pensando a quello che accade ai giorni nostri, ci si può ancora interrogare su cosa realmente si intenda per opinione pubblica.

Il consenso generale viene ormai studiato con quotidiana regolarità per verificare il sentimento dei cittadini sulle scelte che la politica cerca di perseguire.

Le “menti colte” del paese Italia, oggi, chi sono?

C’è un inesorabile livellamento verso il basso che sta caratterizzando la nostra vita politica.

Ma anche la vita culturale.

Un livellamento che fa sembrare alcuni politici del passato, dei veri giganti rispetto a quelli che il quadro istituzionale dei partiti propone alle varie tornate elettorali.

Il modo in cui il nostro sistema propone, facendone ormai una vera e propria operazione di marketing, la cosiddetta classe dirigente si è polverizzato con l’avvento dei nuovi media e con il loro moltiplicarsi.

“La stampa è il quarto potere”,

affermava alla fine dell’800, Max Nordau, sociologo, medico e giornalista ungherese.

“La stampa, senza volerlo, senza saperlo quasi – aggiungeva Nordau – entra in concorrenza vitale con i poteri costituiti.

Essa tende ad impadronirsi dei diritti del Governo, del Parlamento e dell’Accademia (intesa come intellighenzia).

Naturalmente questi corpi si difendono.

Essi odiano la stampa perché sentono in lei la loro erede un poco impaziente. (…)

La base sociologica di tutte le istituzioni di una democrazia è l’opinione pubblica, vale a dire il sentimento e la volontà della maggioranza del popolo.

Tutto il meccanismo del parlamentarismo: agitazioni elettorali, elezioni, Camera, regolamento delle sedute, discussioni, votazioni non sono che la messa in opera dell’opinione pubblica (…)”.

Per Nordau, la politica, era “l’incarnazione del suffragio universale”.

Ma la classe che governa e decide è legata solo ai numeri che esprime?

Partiamo dal fatto che in Italia, come in molte altre democrazie occidentali, i cittadini che esercitando il loro sacrosanto diritto, vanno a votare, sono sempre meno.

La maggioranza valida è quella dei votanti.

Se questi sono solo una parte della cittadinanza, sarà quella parte a esprimere la maggioranza che deciderà nelle sedi istituzionali, da noi Camera e Senato, la politica del Governo.

Di certo l’opinione di questa maggioranza come di quelli che non vanno a votare, sarà influenzata dai mezzi di comunicazione.

La stampa, in primis, ma anche e non poco, la televisione, la radio, internet, perfino i cartelloni pubblicitari affissi sui muri delle nostre città.

La radio, che diffondeva la voce e i messaggi dei leader, fu lo strumento che diede il consenso, espresso poi con il voto, a personaggi come Mussolini e Hitler.

La televisione permise a JF Kennedy di battere sonoramente il candidato Richard Nixon, con un faccia a faccia in televisione divenuto famoso, e divenire Presidente degli Stati Uniti d’America.

Il web ha recentemente influenzato non poche elezioni in paesi democratici dagli Stati Uniti di Donald Trump all’Italia del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo.

Anche la piazza e i suoi tumulti riescono talvolta a imporre una linea politica o a mettere in crisi i regimi e le leadership politiche, come sta accadendo

  • in Venezuela nello scontro tra il presidente Maduro e l’aspirante Guaidò
  • in Francia con i Gilet gialli anti-Macron.

Ma, “non ogni manifestazione di animo esprime davvero una pubblica opinione”.

In Italia sta accadendo con i comitati pro e contro la TAV un tema che sta spaccando in due le opinioni del Paese e forse anche la maggioranza di Governo guidata dal penta-stellati  Di Maio e dal leghista Salvini.

E la movimentazione della piazza è stata anche alla base delle primarie del PD che hanno portato, pagando 2 euro e elettore, il popolo della Sinistra ad esprimersi sul nuovo segretario.

Ma di che numeri parliamo?

A volte sono semplici porzioni della maggioranza. Nel caso delle primarie, che hanno portato alla carica Nicola Zingaretti, poco più di 1 milione e mezzo di italiani è andato ai gazebo a votare.

Nella questione TAV ma anche in quella sulle eventuale incriminazione di Salvini, accusato di aver “sequestrato” un centinaio di migranti a bordo della nave Diciotti, sulla piattaforma Rousseau, che traduce in numero il consenso dei 5 Stelle, sono stati poco più di 50mila militanti a votare.

Questo esiguo gruppo di aderenti al movimento, ha dettato, almeno sulla carta, la linea politica che i parlamentari e i senatori al Governo dovevano seguire.

Nessuna autorizzazione a procedere sulla incriminazione di Salvini e un secco NO al progetto Alta Velocità che dovrebbe collegare l’Italia alla Francia.

Se ci si chiede come queste manifestazioni di consenso, su decisioni diverse, sia stato trasmesso al Paese, si può dire che sia stato fatto utilizzando i media tradizionali:

  • stampa
  • televisione
  • radio
  • web
  • e persino cartelloni affissi nelle strade.

A parte lo strumento legato a internet stiamo parlando, più o meno, degli stessi media di almeno 70 anni fa in certi casi gli stessi che guidavano la cosiddetta “opinione pubblica”, 150 anni fa come sottolineavano Bonghi e Max Simon Nordau.

Numeri a volte esigui vengono resi “importanti” dall’enfasi che la stampa riesce a dare alla loro espressione.

Esistono poi strumenti istituzionali, per esprimere l’opinione della società civile, che anche quando utilizzati in maniera massiva, non riescono comunque a rendere effettiva la volontà popolare.

Uno è quello del referendum, invocato in questi giorni per decidere se proseguire o no i lavori della TAV.

Molti pronunciamenti del passato, da quello sulla responsabilità civile dei magistrati a quello sul finanziamento pubblico dei partiti, sia pure votati da gran parte dei cittadini, sono stati poi letteralmente depotenziati e resi inefficaci.

Altri, come quello sul nucleare, hanno condizionato per decenni la politica energetica dell’Italia con effetti, primo fra tutti l’importazione di risorse dall’estero, che ancora si fanno sentire.

In Gran Bretagna il referendum del 2016 che, inaspettatamente, ha portato alla Brexit e causato un caos di cui ancora non sono chiare le conseguenze e i danni.

“Le leggi anche ottime – ha scritto Scipio Sighele, altro sociologo importante degli anni 20 – sono inutili, se non dannose quando son mediocri o cattivi gli uomini che le applicano”.

Però le leggi sono le espressioni viventi di quello che un Paese vuole, di come vede il proprio futuro e il proprio sviluppo.

Chi oggi è preposto a redigerle e farle applicare, rischia di fare danni enormi, come già accaduto in passato, se non è sostenuto da un progetto sano sul futuro della Nazione e dei suoi cittadini.

Anche se siamo inseriti in un contesto più grande come quello dell’Unione Europea.

Se la maggioranza, quella vera ma sempre più spesso silenziosa, non si esprimerà, ci sarà qualcuno che con poche migliaia di voti, cercherà di convincerci che determinate decisioni sono condivise da tutti gli italiani, anziché da una sparuta e risibile minoranza.

Il voto, l’espressione più elevata della nostra democrazia, non è mai stato tanto importante.

Capire chi, cosa e perché si vota lo sarà altrettanto.

Magari con l’obiettivo di essere realmente l’espressione colta del pensiero del Paese e compiere scelte fondamentali per il nostro futuro.

Claudio Razeto

Tempo di lettura: 1’40’’

Foto tratta da: https://www.italiachiamaitalia.it/parlamento-italiano-il-nuovo-grande-fratello/

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