“Caro Manny, Di recente sei venuto nel nostro ufficio in cerca di lavoro. È ancora questo il caso?”
Questa email, ricevuta il 22 luglio del 2007, è stata la sliding door che ha posto un punto alla mia vita italiana e avviato quella inglese.
Quindici anni dopo: una nuova famiglia, una nuova nazionalità, che con la BREXIT non si sa mai, lo stesso lavoro di architetto.
E una passione per la scrittura che non si è mai sopita.
A volte coltivata, con il corso di scrittura creativa alla RAI e qualche libro autoprodotto, a volte messa in stand by per fare i conti con gli inciampi che la vita a volte ti porta.
Anni spesi a cercare di assimiliare una nuova cultura, una mentalità molto diversa dalla nostra: il culto per il lavoro di squadra, all’interno di una struttura organizzativa perfetta, quasi militaresca, che mal si concilia con lo spiccato individualismo e anarchia italiana;
una cura attenta agli spazi comuni:
panchine, parchi, mezzi pubblici intonsi, cui fanno da contraltare abitazioni malmesse, sporche e a volte abbandonate a se stesse:
il britannico socializza fuori casa e molto difficilmente ti invita nella propria;
in italia la seduta in stoffa colorata della metropolitana durerebbe il tempo di un gatto in tangenziale, ma le case ricevono una cura sconosciuta nei locali pubblici, in cui probabilmente viene identificato uno Stato elefantiaco ed inefficiente, vissuto con un distaccato disgusto.
A fugare l’idea che qui vada tutto bene ci ha pensato la storia del piccolo Alfie, uno sfortunato bambino affetto da una malattia neurodegenerativa incurabile:
i Giudici della Corona hanno ordinato di spegnere i macchinari che lo tenevano in vita:
una barbarie agli occhi di un italiano, un atto necessario per dare questi macchinari a chi ne ha ugualmente bisogno, con maggiori aspettative di sopravvivenza, secondo il punto di vista britannico.
Per questo, quando nel 2018 mi è stato chiesto di far parte di Men’s Life, ho accettato con entusiasmo cercando di dare un’opinione a volte seria, talvolta scherzosa, certamente di parte.
Ne sono successe di cose in questi anni:
in primis l’uscita dal mercato unico europeo: la BREXIT ha impattato sulle vite di tutti, britannici ed expat: una crescente xenofobia, in passato celata dal policitally correct, è stata sdoganata causando gli effetti nefasti con i quali facciamo i conti ancora oggi:
migliaia di autotrasportatori stranieri – non sentendosi più benvenuti – hanno lasciato il Regno Unito, assestando un duro colpo alla logistica, facendo aumentare i prezzi di tutti i beni di consumo:
un capolavoro di sesquipedale tafazzismo per l’attuale premier Johnson, cui non a caso è stata rivolta una selva di fischi durante le celebrazioni del Giubileo della Regina.
Già, Elisabetta II, una sovrana d’acciaio, mai scalfita da guerre, scandali di corte che neanche il più spregiudicato sceneggiatore avrebbe potuto concepire, una pandemia, un figlio diversamente sveglio a cui tutti guardiamo con preoccupazione quando le dovrà succedere al trono; lei lo sa così bene che ha rimandato l’abdicazione a data da destinarsi, addestrando il nipote e facendolo sfilare insieme al padre negli eventi ufficiali, per dare al mondo il messaggio che nel momento del bisogno un giovane temprato aiuterà un settantacinquenne zoppicante e fedifrago nel difficile ruolo di guida della nazione.
La chiosa del discorso che Sua Maestà ha pronunciato durante i festeggiamenti a lei dedicati è illuminante:
“guardate al futuro con ottimismo”, dice Bettina Windsor, come a dire:
“ho fatto del mio meglio per limitare i disastri che l’invertebrato mio pargolo potrà arrecare quando non ci sarò più; ora però mi sarei pure stufata e mi vorrei riposare, se a voi – sudditi, Commonwealth e mercati finanziari – non dispiace”.
A differenza di Sua Maestà sono ancora parecchio lontano dalla pensione, quindi sarò lieto di raccontarvi cosa succede qui in UK, nel modo che mi sarà concesso dagli amici Maria Luisa e Roberto, cui va la mia ammirazione per la grande realtà editoriale che mattone dopo mattone stanno costruendo.
ALEX F ROMEO