Tatuaggi: Forse non tutti sanno che…

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di Alberto Aiuto

Nelle popolazioni primitive, ci si faceva realizzare un disegno sulla pelle (tatuaggi), quando si passava dall’infanzia all’età adulta.

Nel mondo occidentale, fino a 15-20 anni fa si tatuavano solo i carcerati, i marinai e qualche rockstar o calciatore.

Oggi chi non ha un tatuaggio è una persona grigia, sfigata e un po’ triste.

Tanti anni fa, gli italiani furono definiti “popolo di eroi, di santi, di poeti, di artisti, di navigatori, di colonizzatori, di trasmigratori”.

Oggi, questa definizione dovrebbe essere aggiornata: gli italiani sono un popolo di tatuati.

Ormai, ogni anno 1,5 milioni di persone scelgono di sfoggiare braccia adornate da orgogliosi draghi, segni tribali sui quadricipiti (se necessario depilati), guerrieri o fate sulla schiena, perfino interi paragrafi di scrittori di cui probabilmente non hanno letto niente.

Pochi sanno però che l’inchiostro dei tatuaggi oltrepassa la pelle, penetra nel sangue e raggiunge i linfonodi, gonfiandoli, come riportato recentemente sulla rivista Scientific Reports.

A raggiungere le “sentinelle” del nostro sistema immunitario sono particelle del materiale usato, inferiori a un milionesimo di millimetro.

Ancora non è chiaro se siano nocive, anche se l’accumulo nei linfonodi fa capire che il nostro organismo non pensa siano sostanze innocue.

In genere quando ci si fa un tatuaggio si è molto attenti a rivolgersi a centri che utilizzano aghi sterili.

Ma nessuno controlla la composizione chimica dei colori, che a volte contengono, oltre a pigmenti organici, sostanze potenzialmente allergizzanti, come:

  • carbon black (inchiostro nero),
  • nichel,
  • cromo,
  • manganese,
  • cobalto e
  • biossido di titanio.

Quest’ultimo è un pigmento bianco che, mescolato con altri coloranti, genera diverse tonalità.

In genere viene usato negli additivi alimentari, negli schermi solari e nelle vernici.

Fortunatamente il problema è all’attenzione del Ministero della salute.

Innanzitutto ricordiamo che, in via precauzionale, le persone che si sono fatte tatuare non possono donare il sangue per il periodo di un anno!

Inoltre, è già in atto una campagna mirata di sorveglianza.

I Carabinieri Nas hanno controllato circa 250 inchiostri:

i risultati preliminari hanno mostrato la presenza, in discreta percentuale, di ammine aromatiche cancerogene (simili a quelle trovate nella ranitidina) ed idrocarburi policiclici aromatici e ne ha ritirati alcuni dai nomi esotici:

  • Sailor Jerry Red,
  • Black Mamba,
  • Green Beret,
  • Hot Pink,
  • Banana Cream,
  • Lining Green,
  • Lining Red Light e
  • Blue Iris.

Inoltre si stanno aggiornando le linee guida, contenute nelle circolari del 1998, sugli aspetti igienico-sanitari e microbiologici.

Premesso che la gente non va giudicata dalla pelle (tatuaggi) e dai capelli (tagli, acconciature, colori),

Cosa spinge a tatuarsi?
Sindrome di Peter Pan?

Desiderio di sembrare poco convenzionali?

Voglia di emulare i propri modelli di riferimento, tipo Fedez o Fabrizio Corona?

Voglia di rendere visibili a tutti gli aspetti più nascosti del proprio io, della serie “sono un impiegato, ma sotto sotto…”?

Oppure, più semplicemente, perché oramai lo fanno (quasi) tutti?

Gli studiosi del comportamento ci dicono che rappresentano una forma di comunicazione non verbale che esprime un vissuto interiore.

In pratica il tatuato vuole comunicare alcuni tratti immutabili del proprio io. Interessante.

Nella nostra società in cui nessuno ha più certezze di nulla, finalmente c’è qualcuno che ha dei punti fermi.

Alberto Aiuto

Tempo di lettura: 1’00”

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