Antibioticoresistenza: Un’emergenza che viene da lontano

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Sulla Terra siamo ormai 7 miliardi e mezzo,

con un tasso di crescita di 140 persone al minuto: in pratica ogni anno si aggiunge una nazione come l’Italia. Come è possibile? Semplice: gli uomini riescono a vivere anche in situazioni ambientali molto difficili (al Polo Nord, nel deserto, in Amazzonia, etc). Per i batteri succede lo stesso: in un ambiente diverso da quello a cui sono abituati, riescono a vivere solo quelli più forti, come insegna Darwin.

Quando prendiamo gli antibiotici

per curare un’infezione batterica, in pratica creiamo condizioni di vita difficili per i batteri. Il termine infezione indica la capacità di un microrganismo di moltiplicarsi e di danneggiare l’ospite, senza che il sistema immunitario sia capace di intervenire. In passato le infezioni spesso uccidevano (indimenticabile la descrizione della pestilenza, una malattia provocata da un batterio trasmesso dalle pulci, fatta da Manzoni nei “Promessi Sposi”), stravolgendo la società e l’economia di intere aree geografiche. Poi, casualmente, nel 1928 fu scoperta la penicillina, che dimostrò la sua efficacia reale solo nel 1941, quando fu somministrata ad un poliziotto di Oxford che stava per morire di setticemia a causa di una piccola ferita infetta al lato della bocca.

Da quell’unico antibiotico

sono stati sviluppati numerosi “proiettili magici”, che, utilizzati spesso in modo inappropriato, hanno selezionato batteri sempre più forti ovvero resistenti agli antibiotici. Un tempo Gianni Morandi ci ricordava che solo “uno su mille ce la fa”, oggi quell’uno è sempre più resistente agli antibiotici di cui disponiamo. Questo fenomeno si chiama antibioticoresistenza, un problema divenuto ormai di sanità pubblica.

Il rapporto nazionale sull’Uso degli antibiotici nel 2017, pubblicato dall’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco),

afferma che in Europa sono stati registrati 671.689 casi di infezioni antibiotico-resistenti, con 33.110 decessi, di cui circa un terzo in Italia, soprattutto nei bambini nei primi mesi di vita e negli anziani.  Una delle possibili spiegazioni è l’insufficiente cultura nell’utilizzo dell’antibiotico, a cui si dovrebbe ricorrere quando necessario e non come a una panacea, utile in qualsiasi situazione. Infatti in Italia assumiamo 25,5 dosi giornaliere al giorno per mille abitanti (un consumo sopra la media UE): nel Sud Italia i consumi sono una volta e mezzo superiori a quelli del Nord. L’aspetto su cui riflettere è che il 90% del consumo di antibiotici è a carico del SSN, ovvero avviene a seguito di prescrizione medica: i Medici di Medicina Generale e i Pediatri di Libera Scelta forse cedono troppo facilmente alle richieste dei pazienti, avallando qualche utilizzo di troppo o non del tutto appropriato.

Il problema è però più ampio,

in quanto deriva anche dell’uso incongruo di questi farmaci nel 60% dei casi negli allevamenti intensivi di animali. I materiali reflui, che escono dagli allevamenti sono ricchi di ceppi resistenti ad antibiotici che dunque stanno diventando inefficaci.

Cosa fare?

Innanzi tutto, lavarsi frequentemente le mani con detergenti a base alcolica, per evitare la trasmissione dei germi con cui si viene a contatto; poi, fare il vaccino influenzale e antipneumococcico; evitare di autoprescriversi gli antibiotici o assumerli solo perché in casa ne è rimasta una confezione residua o perché quel sintomo sembra simile a quello per il quale il farmaco era stato prescritto. Assumerli al dosaggio e per i tempi prescritti. Non assumerli per infezioni non batteriche a meno che non ci sia un rischio di sovrainfezione (il loro utilizzo maggiore durante le sindromi influenzali virali). La parola antibiotico vuol dire letteralmente “contro la vita (dei batteri)”, ma oggi, in presenza dell’antibioticoresistenza, sta perdendo il suo significato originale.

Alberto Aiuto

Tempo di lettura: 1’30”

 

Foto tratta da: https://www.quimamme.it/attualita/antibiotico-resistenza/

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