Il farmaco, c’era una volta il rimedio empirico

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di Alberto Aiuto

Quando pensiamo ad un farmaco, in genere immaginiamo una compressina contenente un principio attivo con aggiunta di eccipienti.

Ma non sempre stato è stato così. 

Circa 20 anni fa fu ritrovata in Val Senales, al confine tra Italia e Austria, una mummia praticamente intatta di un essere umano, vissuto circa 5000 anni fa, oggi conosciuto come l‘Uomo del Similaun.

Gli scienziati hanno scoperto che questo signore aveva il sangue di Gruppo 0, era intollerante al lattosio, era predisposto a malattie cardiovascolari.

Probabilmente era un pastore e aveva ben 61 tatuaggi, in corrispondenza di lesioni di tipo artrosico.

Probabilmente questi disegni avevano una funzione di tipo curativo o religioso, al fine di alleviare i dolori.

In ogni caso sappiamo che da sempre l’uomo ha cercato di curarsi, ricorrendo a medicamenti via via più complessi.

All’inizio, l’uomo percepì, sia per esperienza diretta che osservando il comportamento e le reazioni degli animali, che in natura esistevano sostanze (vegetali o animali) capaci di provocare danni o benefici per la sua salute.

Ippocrate indicava con il termine pharmakon sia una sostanza tossica che un medicamento, inteso come sostanza atta a curare un processo morboso.

L’uomo dunque imparò ad usare l’acido salicilico, da cui è derivata la moderna aspirina:

  • la valeriana, passiflora, melissa e biancospino, il cui infuso era usato già dagli Egizi;
  • la digitale, per lo scompenso cardiaco;
  • l’olio di ricino, un purgante irritante;
  • la corteccia di china, antimalarica;
  • la centella asiatica, “l’erba della tigre”, perché gli animali selvatici si sdraiavano sulle sue foglie per curare una ferita o
  • il curaro, un veleno impiegato per secoli in Amazzonia per la caccia agli animali selvaggi commestibili, la cui  morte avveniva per paralisi dei muscoli scheletrici senza pregiudicare la qualità della carne (oggi è usato nell’anestesia generale per ottenere il rilasciamento muscolare).

A proposito se vi capita di passare per Salerno, non mancate di visitare gli Orti della Minerva, dove nel Medio Evo venivano coltivate a fini didattici per gli studenti della scuola medica salernitana le piante medicinali.

Siamo poi passati al mondo animale (olio di fegato di merluzzo, gli estratti d’organo) e al mondo minerale (sali di ferro, di mercurio, zinco, calcio, magnesio, alluminio e altri).

Da non dimenticare la Teriaca, il più miracoloso e inutile farmaco della storia, una vera pozione miracolosa, composta da circa 62 ingredienti, tra cui timo, mirra, incenso, succo d’acacia, finocchio, anice, cannella, una lucertola priva di zampe, con aggiunta di oppio e carne di serpente.

Infine miele, per rendere il miscuglio più appetibile.

Questa pozione è stata preparata fino alla metà dell’800 nella spezieria di Santa Maria della Scala a Trastevere, ed era indicata per qualsiasi situazione clinica:

Se non funzionava la colpa veniva attribuita a qualcos’altro.

Poi, con l’evoluzione della chimica, si è passati ai farmaci di sintesi (sulfamidici, antitumorali, antidepressivi e antipertensivi).

La messa a punto di un nuovo farmaco richiede:

  • fra i 10 e i 15 anni di sviluppo e
  • investimenti di 2 – 3 miliardi di dollari,

tutti a carico del “proprietario” del farmaco (il più delle volte un’industria farmaceutica).

Nel futuro prossimo arriveranno, grazie alle biotecnologie e all’ingegneria genetica, farmaci sempre più personalizzati

Vale a dire capaci di curare i singoli pazienti e non patologie comuni a molti individui.

A quel punto il vero problema saranno i costi che la sanità pubblica potrà permettersi: saranno veramente a disposizione di tutti o saranno per pochi intimi?

Alberto Aiuto

Tempo di lettura: 1’30”

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