La saliva e l’infezione Covid-19: Il droplet c’è ma non si vede

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di Alberto Aiuto

Fino ad un anno fa, nessuno notava queste goccioline di saliva, se non quando vedeva il proprio fiato che si condensava. Oggi che è divenuto il protagonista dei nostri discorsi, ne stiamo (ri)scoprendo le potenzialità.

In genere ci accorgiamo della sua esistenza quando vediamo un piatto che ci fa gola (l’acquolina in bocca) o quando siamo sotto stress (bocca secca).

Ma normalmente produciamo quasi un litro di saliva al giorno:

Durante la vita ne produciamo abbastanza da riempire due piscine.

È un fluido formato dal 98% di acqua, che non serve a dissetarci.

La sua principale funzione è la lubrificazione della cavità orale e la formazione del bolo alimentare.

Mescolandosi con il cibo durante la masticazione, aiuta la deglutizione e avvia il processo di digestione dei carboidrati.

Il suo ruolo non è però così “banale”.

Tutto merito del restante 2%, contenente un miscuglio molto complesso di sostanze inorganiche:

  • sodio
  • cloro
  • bicarbonato
  • potassio
  • calcio
  • magnesio
  • fosfato

e organiche utili per iniziare la digestione (amilasi e lipasi), o ad attività antibatterica, antivirale e antifungina (lisozima e lattoferrina).

Il cavo orale è infatti colonizzato da oltre 700 specie batteriche differenti.

È quindi di fondamentale importanza mantenerne il corretto equilibrio, riducendo la presenza di patogeni a favore di batteri utili.

Le funzioni in ambito immunologico tuttavia non si fermano qui, infatti nella saliva umana si ritrovano elevate quantità di anticorpi.

Prodotti dai linfociti B presenti nelle ghiandole salivari, si diffondono su tutta la superficie della bocca migliorando le difese contro i patogeni.

In realtà la saliva può servire anche ad identificare i marcatori di numerose condizioni endocrine, immunologiche, infiammatorie, infettive.

Attualmente si usano test salivari per effettuare:

  • il test antidroga,
  • la diagnosi precoce dell’Epatite C e dell’AIDS
  • della sindrome di Cushing,

Attraverso la ricerca nel liquido rispettivamente del THC, o Δ9-tetraidrocannabinolo; dell’HCV e dell’HIV; del cortisolo (l’ormone dello stress).

La saliva e l’infezione Covid-19

Più recentemente abbiamo appreso che i droplet (la saliva) rappresentano una delle principali vie di trasmissione del Sars-Cov-2.

Di qui l’idea di test salivari più pratici e rapidi per rintracciare il patogeno.

L’obiettivo è di raccogliere un campione di saliva (bastano poche gocce) e ricercare alcune molecole tipiche del Sars-Cov-2 (ad esempio la proteina spike espressa in abbondanza sulla sua superficie) mediante un esame immunochimico ad alta selettività.

In pratica si mette il campione su una striscetta di carta e in pochissimi minuti si ha l’esito (un po’ come avviene per i test di gravidanza).

Una linea: campione negativo, virus assente.

Due linee: campione positivo, il virus c’è.

Finora questi test salivari rapidi non hanno dimostrato una sensibilità (cioè capacità di identificare correttamente i soggetti malati) e una specificità (ossia la capacità di identificare correttamente i soggetti sani) tali da poter sostituire in toto il tampone oro-faringeo, per cui una eventuale positività va confermata con i metodi tradizionali.

Ma non è finita. Sembra che la carica virale salivare sia un migliore predittore di mortalità rispetto alla carica virale rinofaringea.

Questo perché il classico tampone riflette soltanto la replicazione virale del tratto respiratorio superiore, ma non di quello inferiore, dove il coronavirus esplica la propria azione devastante.

In questo senso, la saliva può rappresentare meglio ciò che sta accadendo nelle basse vie respiratorie.

Tra poche settimane avremo i risultati di alcune sperimentazioni e si potrà passare all’uso del test per la diagnostica; per l’uso autonomo il processo di validazione sarà più lungo.

È evidente che un test non invasivo sulla saliva validato potrebbe velocizzare sia il processo di screening, che il tracciamento e il contenimento del coronavirus.

Insomma da un punto di vista prognostico e dell’approccio terapeutico ci sarebbe la concreta possibilità di migliorare la gestione dell’epidemia.

Alberto Aiuto

Tempo di lettura: 1’30”

Foto tratta da: https://t4.ftcdn.net/jpg/03/32/05/09/240_F_332050979_5HWq7hTfSQVDJ9DXEtwEgyFQf2iVo2fk.jpg

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