L’emancipazione delle donne (e dell’uomo) è un sottoprodotto della tecnologia. Questo concetto provocatorio ci dice che senza i mezzi e le risorse resi disponibili dalla tecnologia, diritti acquisiti con tanta fatica non potrebbero esistere.
C’era una volta il sesso. No. Non quello che si rimpiange una volta superata una certa età. Semplicemente quello anatomico.
Quello che distingueva fin dalla nascita i neonati. Quello per cui le mamme vestivano i neonati d’azzurro e le neonate di rosa, salvo cambiare totalmente alle elementari: maschietti col grembiulino blu e femminucce con quello azzurro o nero.
Il cambiamento è avvenuto gradualmente.
Dopo la seconda mondiale, in cui morì una moltitudine di uomini, le donne furono costrette a mutare le loro priorità: non più il matrimonio comunque, ma un lavoro e, a seconda delle classi sociali, la realizzazione di sé, lo studio e una carriera possibilmente qualificata e finalizzata al guadagno.
Successivamente, alla fine degli anni 50, l’avvento degli elettrodomestici (cucine a gas, frigoriferi, aspirapolvere e lavatrice) ha costituito lo stimolo più potente alla trasformazione del ruolo sociale della donna, avviandola verso una più ampia emancipazione.
La rivoluzione sessuale: tutta colpa della cerniera
Poi, negli Anni Settanta, arrivò la pillola anticoncezionale che diede il via alla rivoluzione sessuale: le donne decisero di non “indossare” gonne e reggiseno e di “entrare” nei calzoni, simbolo di ribellione, parità sessuale, affrancamento dalla schiavitù della moda (che peraltro obbliga bordi sfilacciati e strappi di fabbrica).
Determinante fu l’adozione della asessuata cerniera che risolse il problema dell’abbottonatura a destra o a sinistra, per cui gli indumenti non distinguendo più tra maschi e femmine, divennero bisex.
Come i parrucchieri.
Cominciarono poi ad entrare nel linguaggio comune delle donne espressioni come “non mi rompere le palle”, scarsamente giustificabili nel “gentil sesso”.
Di più, negli anni ’80, riscosse parecchio successo un cartone animato, Lady Oscar, che narrava le vicende di una donna cresciuta come un soldato, alla corte di Versailles.
L’espressione “far l’amore”, inventata dai parolieri di tanti anni fa, aprì/seguì l’epoca della rivoluzione sessuale;
sempre più spesso le canzoni ci insegnarono come farlo, a ricordarlo con una punta di malinconia o rimpianto, a sognare di farlo “da Trieste in giù”.
Il cinema ovviamente si adeguò proponendo l’attività in tutte le varianti e in tutti gli ambienti.
Oggi, le donne si interessano di politica e di calcio, spesso votando o tifando per il partito o la squadra concorrente di quella del compagno.
Bevono perfino il vino: prima le donne non lo bevevano mai, al massimo ne mettevano un goccio nell’acqua oppure assaggiavano due dita di bianco, come se il rosso fosse da carrettiere.
Oggi fanno corsi da sommelier e al ristorante richiedono la carta dei vini.
Insomma ormai siamo arrivati, giustamente, all’uguaglianza dei diritti, cosa che paradossalmente favorisce l’eliminazione delle differenze.
Come dire “uno vale una”.
Dal sesso anatomico alla percezione del sesso
In pratica, il “sesso” ha perso significato, sostituito dalla parola “genere” che indica la percezione che si ha di sé in quanto maschio o femmina.
Del resto l’italiano prevede la distinzione tra uomo e maschio e, naturalmente, tra donna e femmina, quindi la differenza tra sesso biologico e genere.
Il problema è che mentre madre natura ha deciso che esistono due sessi, le percezioni possono essere numerose.
Non per niente si sta affermando il movimento LGBT (acronimo di Lesbica, Gay, Bisessuale e Transgender), senza dimenticare che già qualcuno chiede di aggiungere la lettera Q per chi si sta interrogando circa la propria identità, o la lettera I per rappresentare le persone intersessuali.
In America si comincia ad usare nel linguaggio ufficiale il termine “birthing person-people” in sostituzione di madre-i.
A breve in Italia la festa della mamma si chiamerà “Festa della partoriente” o “Festa delle persone dotate di utero”.
Di fatto sesso e genere sono scritti nel corpo e nella mente, ossia sono prestabiliti in modo genetico ed ereditario, e quindi non è possibile scegliersi autonomamente il genere, in base a lezioni o teorie, più o meno di moda. Al di là delle formule, determinante sarà il rispetto dell’essere umano e della diversità.
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